Pulp (edito da Feltrinelli, 184 pagine, 7€) è un libro di Charles Bukowski, pubblicato nel 94, poco dopo la morte dell’autore. Protagonista della storia è Nick Belane, investigatore privato, anzi, l’investigatore privato “più dritto di Los Angeles” come ama definirsi. In realtà è un uomo in là con gli anni, in sovrappeso, depresso, tutto sommato non un asso del proprio lavoro e ossessionato dalla morte. Questo libro è fortemente ironico, a tratti assurdo, privo di moralismi e politicamente scorretto, ma ricco di spunti di riflessioni e di un ironia beona che permette a Belane/Bukowski di non cedere del tutto, davanti allo squallore insensato della vita, o almeno, di un certo tipo di vita.
Nel corso di questa storia il nostro Belane, che ci sembrerà di conoscere da una vita, per quanto è familiare come tipo di personaggio (l’investigatore privato è una figura che fa parte dell’immaginario collettivo, proprio come ne fa parte la figura dell’uomo di mezza età depresso e tutto sommato “fallito”) si imbatte in alcuni casi abbastanza strani. Tanto per cominciare, una certa Signora Morte gli chiede di trovargli lo scrittore francese Céline, che all’epoca dei fatti era già morto. Questa missione assurda si affianca a un caso di adulterio, a degli incontri con gli alieni e a un incontro abbastanza sfortunato con dei gangster; ma è solo nella prima, a mio avviso, che si trova il senso del libro. Sì perché Pulp, oltre a divertire e a farlo bene, oltre a farsi leggere in modo scorrevole e piacevole ha, in fondo, un suo messaggio, anche piuttosto serio.
Nick Belane, proprio come il suo autore Charles Bukowski, è un uomo alla fine del suo cammino, selvaggio e libero, ma anche carico di amarezze e disillusione, che aspetta la morte con curiosità e un vago senso di liberazione, affascinato dall’ultima cosa autentica che può capitargli nella vita. La morte, per l’appunto.
Chi di voi ha letto Bukowski sa già che per l’autore californiano, ciò che più conta è l’autenticità, che è tra l’altro il grande punto di forza della sua scrittura, dai contenuti spesso volgari ed estremi.
Di Bukowski ho adorato il suo diario, “Il capitano è fuori a pranzo” (che probabilmente recensirò in futuro), dove il vecchio Hank, libero da qualsiasi compromesso letterario con trama, personaggi e convenzionalismi vari, ci regala fiumi di parole autentiche e vive, cariche di vissuto e di disillusa consapevolezza di sé e del mondo. Queste stesse caratteristiche le troviamo anche in Pulp, anche se in modo minore e intervallate da scenette comiche o comunque legate al genere, abbastanza codificato, delle “detective stories”.
Aniello Troiano