Il menestrello vostro confessa che all’inizio non era sicuro di cosa parlare riguardo questo articolo: infatti l’argomento si presta all’analisi sotto molti punti di vista, sia come vademecum per le ambientazioni, sia come vero e proprio pilastro del sottogenere space opera. Rasentando in taluni casi persino il titolo di saga, l’opera scritta da C.J. Cherryh definisce un’evoluzione particolareggiata del sottogenere, dove a farla da padrone non sono solamente problemi a portata di essere umano.
Sebbene la Cherryh appartenga alla seconda generazione di scrittori di fantascienza, è considerabile come una dei più importanti autori del genere, soprattutto data la sua spiccata capacità nel costruire società e culture aliene, lo stesso ciclo di Chanur vanta alcune specie aliene particolarmente dettagliate, in cui il lettore si immedesima mano a mano che gli eventi si evolvono.
Il menestrello ha accennato innanzi tutto alle specie aliene del ciclo, ma perché quante ne abbiamo? La risposta all’occhio distratto potrebbe sembrare sette, ma in realtà c’è un’altra specie aliena che viene menzionata: l’uomo. Al contrario di molte space opera viste in passato, il ciclo di Chanur parte da un punto di vista completamente differente: gli umani infatti non sono la razza più popolosa dello spazio, anzi nell’ambientazione di Chanur gli umani sono rilegati a esseri sconosciuti provenienti da chissà dove. Semmai sono le razze del Patto a farla da padrone.
Nell’universo del ciclo esiste infatti una sorta di trattato chiamato per l’appunto “Patto”, un insieme di regole che permettono alle sette specie di commerciare e di accedere alle stazioni spaziali che lo compongono, dando comunque completa autonomia alle singole razze nel governarsi. Proprio quest’organizzazione così eterea e inconsistente fa da motore per le storie del ciclo, fornendo all’autrice innumerevoli spunti per movimentare una trama superba, ambientata in uno degli scenari più dettagliati che si possono trovare in tutta la fantascienza moderna. L’arrivo della nuova incognita (gli umani) porta però un’instabilità pericolosa per l’equilibrio raggiunto dalle fazioni tanto da causare una vera e propria guerra all’interno del Patto e nelle specie stesse che considerano pericolosi i nuovi arrivati.
Accanto allo scenario delle sette specie aliene la Cherryh fa capire che esistano delle organizzazioni umane molto simili al Patto, per l’appunto la Lega e la Confederazione, che l’autrice stessa racconta in altri romanzi. Benché non spiegate direttamente in quest’ambientazione, il lettore si trova a comprendere molto bene le motivazioni che spingono gli esseri umani a incontrare le razze del Patto, come del resto vengono chiariti i motivi per cui alcune razze del vogliono gli umani e altre no.
Cherryh sposta dunque l’ago della bilancia su un’alchimia basata sull’interazione tra le specie e benché i romanzi vedano protagonisti gli hani, ognuna delle sette razze che compongono il Patto ha un suo ruolo molto definito, rendendole vive e per nulla stereotipate. L’impresa di realizzare un’ambientazione così mastodontica, viene quindi ripagata dalla coinvolgente naturalezza con cui i vari membri dell’equipaggio protagonista si ritrovano a commentare il comportamento altrui, come si evolvono le relazioni tra le specie e soprattutto il contrasto tra culture a volte incompatibili.
Sette razze
Anche se all’apparenza le razze del Patto possono sembrare stereotipate nelle forme (gli hani sono palesemente ripresi dai leoni, i mahendo’sat sembrano scimmie), in realtà l’autrice ridefinisce molto presto le loro abitudini, ritualizzandole e dando a ogni razza il giusto metodo di riconoscimento, tanto da rendere usanza comune per una razza piuttosto che per un’altra tali comportamenti. In questo modo sembra diventare logico il modo in cui le hani adornano le orecchie con gli anelli, come c’è logica nelle manovre politiche dei mahendo’sat per mantenere l’equilibrio nel Patto, il cambiare fasi degli stsho e persino nel modo in cui i kif si uccidono l’uno con l’altro per guadagnare sfik (sorta di reputazione agli occhi dell’intera razza). Cherryh gioca inoltre sul costante concetto che nessuna delle razze riesce a comprendere i comportamenti dell’altra fino in fondo: basti pensare alla separazione del Patto stesso in respiratori di ossigeno e di metano. Se infatti può risultare arduo entrare nella testa delle hani protagoniste dell’intero ciclo, figurarsi cercare di comprendere le matrici 7×7 con cui si esprimono i tc’a o persino il comportamento illogico dei knnn. Da questo punto di vista può essere facile inquadrare alcune razze come facenti parte delle schiere dei cattivi e così, almeno all’inizio, vengono interpretati dall’equipaggio protagonista i comportamenti dei kif, ma nell’andare avanti e nel conoscere le varie culture del Patto ci si rende conto con semplicità disarmante che nei comportamenti dei vari personaggi non c’è mai malizia o cattiveria. La stessa Pyanfar Chanur aiuta l’unico umano della storia, ma solo nell’ottica di poterci guadagnare qualcosa, non per altruismo.
Se il caos di usanze e comportamenti non fosse abbastanza, l’autrice rincara la dose con l’ausilio di linguaggi e dialetti, se infatti nel Patto quasi tutti hanno imparato il pidgin sviluppatosi dalla mescolanza di svariate lingue, sia le hani protagoniste, che gli altri personaggi infarciscono i loro dialoghi con una serie di termini, di espressioni gergali e comportamenti che danno vita a qualcosa di talmente variegato da far trovare il lettore spaesato quanto il povero umano, unico esemplare della sua razza.
Nello scrivere questo articolo, il menestrello vostro ha tentato di riassumere i punti salienti di un’ambientazione variegata e piena di sfaccettature, ma il comportamento delle varie razze è davvero l’unico metro in cui quest’ambientazione si sviluppa? Già dal primo sguardo alla mappa (si, c’è una mappa) delle stelle del Patto, si ha l’impressione di trovarsi dentro un universo variegato e pieno di pianeti. Basta leggere un paio di didascalie per rendersi conto che l’autrice ha pensato come strutturare una mappa in cui le dimensioni siano importanti, aggiungendo una profondità di campo e un certo numero di rotte percorribili solamente da navi di massa ridotta.
Per quanto la tecnologia del patto tenda a non appesantire la narrazione, anche se c’è distinzione tra navi che possono effettuare un balzo e navi locali, non viene mai specificata la grande differenza, come non viene menzionata, se non con pallidi accenni, la diversità tra mercantili e navi da guerra. Il modo di viaggiare tra due sistemi stellari non viene mai spiegato in modo dettagliato: la nave che compie un balzo accelera con un vettore molto lungo puntando a una stella, quando la massa della stella l’attrae, la nave esce dal balzo. All’uscita lo stesso propulsore che ha garantito una simile velocità viene utilizzato per ridurre il vettore di allontanamento dalla stella. Vi è un limite alla distanza percorribile con un singolo balzo, che dipende dalla potenza del motore della nave e dalla sua massa. Un balzo richiede parecchie settimane o mesi di tempo oggettivo. L’equipaggio della nave percepisce il tempo richiesto dal balzo come ore o giorni e durante questo tempo il balzo tende a sfinire il corpo, che all’uscita ha bisogno di nutrimento immediato e di riposo. Nel Patto non c’è una sorta di comunicazione istantanea e tutto avviene via radio, pertanto i sistemi stellari spesso hanno una o più boe di trasmissione ai punti di balzo in modo da fornire alle navi tutte le informazioni necessarie per l’attracco o per lasciare il sistema. Allo stesso modo non ci sono generatori di gravità, pertanto sia le navi che le stazioni spaziali sono obbligate a creare un campo gravitazionale facendo ruotare i moduli di cui sono composte. Tale peculiarità rende difficoltoso l’attracco e lo sgancio dalla stazione, con conseguenti danni a entrambe le parti in caso di sgancio forzato dalle flange d’attracco. Le stesse stazioni spaziali i cui moli si snodano sugli anelli centrali mostrano un “orizzonte” orientato verso l’alto, proprio a rimarcare la curvatura della stazione. Infine Cherryh non si spinge sul reparto armamenti, lasciando all’immaginazione del lettore varietà di armamenti a disposizione delle navi, lasciando intendere una minima diversità delle armi personali, tra fucili lanciagranate e pistole a energia.
Ambientazione spaziale
Per quanto la totalità delle storie raccontate non prenda mai di petto l’idea dei pianeti e sebbene nei romanzi del ciclo venga descritto solamente Anuurn, ogni razza ha un proprio pianeta natale. Il punto di forza di un’ambientazione slegata dai pianeti è proprio la possibilità di garantire agli spaziali una vita indipendente dalla provincialità del pianeta. Anche se Pyanfar ricorda molto nitidamente la sua casa e la parte di famiglia rimasta nella tenuta Chanur, il modo di pensare di chi rimane sul pianeta non si discosta molto dalla xenofobia per le altre razze e questo non capire l’importanza stessa del Patto in qualche modo disturba i protagonisti, quasi quanto disturba il lettore nel comprendere la miopia di chi è legato ancora a delle tradizioni che non valgono per lo spazio, dove una singola astronave potrebbe annientare un’intera razza.
Infine, il fulcro rimane indissolubilmente un concetto realistico di cosa succederebbe ai cosiddetti spaziali, semmai dovessero abbandonare la propria casa, cambiando modo di pensare e di relazionarsi con culture completamente diverse dalla propria, dove magari persino un instabile maschio hani può trovare uno scopo dopo essere stato detronizzato dal figlio.
Il concetto di società spaziale che descrive Cherryh è dunque legata solo in maniera embrionale al passato in cui non c’erano stazioni e rotte commerciali, facendo dimenticare al lettore l’idea che lo spazio sia un luogo vuoto e irraggiungibile, ben più vicina alla realtà di quanto fossero gli scritti di “Doc” Smith. Benché la space opera della seconda generazione stia lentamente scomparendo dalle librerie, l’ambientazione della Cherryh risulta essere fresca, decisamente viva e capace di ispirare persino una nuova generazione di viaggi spaziali.
- L’orgoglio di Chanur
- La sfida di Chanur, La vendetta di Chanur, Il ritorno di Chanur
- L’eredità di Chanur
Davide Zampatori