Titolo: Lui è tornato
Autore: Timur Vermes
Editore: Bompiani
Collana: Narratori stranieri
Anno: 2013
Pag.:443
Traduzione: F. Gabelli
Berlino, giorni nostri. Un uomo si risveglia in un campo incolto, con un forte mal di testa. Non sa come abbia fatto a finire lì ed è comprensibilmente irritato. La sera prima, ricorda, si trovava nel suo rifugio, accoccolato sul divano assieme alla sua giovane sposa. Poi, il buio. Ma ce ne sono di cose che a quest’uomo appaiono strane, più del trovarsi fuori dal bunker. La città, per esempio, che appare così diversa da quella che ricorda, distrutta dai bombardamenti. E la gente che incontra, sgarbata, per nulla ossequiosa, che sembra fingere di non sapere chi egli sia. Eppure tutti dovrebbero riconoscerlo: perché lui è Adolf Hitler. Ed è tornato.
Comincia così Lui è tornato (tit. or. Er ist wieder da), romanzo d’esordio di Timur Vermes che narra le vicende di un Hitler redivivo nella Germania contemporanea.
Scambiato per un attore particolarmente dotato, Hitler viene immediatamente ingaggiato da una tv privata come caratterista in uno show, diventando ben presto uno dei personaggi televisivi più amati dal pubblico e più cliccati sulla rete.
Attorno al “folle Hitler di Youtube” si raduna una folla di spettatori che ne apprezza il modo schietto e politicamente scorretto di raccontare la realtà: nel suo show, infatti, il presunto comico ridicolizza i partiti esistenti, mostrati come consessi di persone che tramano per mantenere inalterati i loro privilegi; si scaglia contro i parassiti europei, che dissipano la ricchezza economica della Germania per perseverare nelle loro disastrose politiche economiche e non risparmia gli stranieri, turchi in massima parte, colpevoli di aver saturato il welfare statale.
A ogni comparsa in pubblico il numero dei fan aumenta, perché Hitler parla al cittadino e dice esattamente ciò che il cittadino vuol sentirsi dire. Facendolo ridere.
Paradossalmente, sarà proprio il partito neonazista a cercare di ostacolare la crescita di consensi attorno all'”Hitler di Youtube”. Ma ormai il destino della Germania sarà già stato tracciato. Di nuovo.
L’autore sceglie di affidare allo stesso Hitler il compito di raccontare ciò che accadde dal momento in cui si ritrovò nel parco fino alla stesura del suo nuovo programma politico. E poiché si tratta di un romanzo scritto in prima persona, e grazie anche allo scrupoloso lavoro di documentazione operato da Vermes, la suggestione di trovarsi di fronte a un memoriale autentico, una sorta di secondo tempo del Mein Kampf, è inquietante.
Sfruttando la sua esperienza come ghost writer, Timur Vermes dà vita a un Adolf Hitler del tutto credibile e terribilmente verosimile; un uomo dalla prosa pomposa, esageratamente verbosa, zeppa di retorica; un uomo convinto ciecamente di essere stato catapultato nella Germania contemporanea dalla Provvidenza, per poter portare a termine quanto iniziato nel 1933. Destino che gli risulta del tutto evidente quando si rende conto che, se tecnologia e costumi sono cambiati, non sono mutate le condizioni politiche e sociali
“Tra la popolazione c’era un esercito di milioni di disoccupati e una rabbia sorda, un’insoddisfazione che mi ricordò il 1930” [Timur Vermes, Lui è tornato, trad. di Francesca Gabelli, Bompiani, 2013, p. 143]
e che il popolo è ancora quello di sempre, una massa di individui alla costante ricerca di qualcuno da seguire. Qualcuno che sia popolare, che dichiari di avere LA soluzione e che prenda su di sé la responsabilità delle azioni collettive.
Proprio per questo, Lui è tornato non può essere accostato a opere come The producers perché non si tratta di una commedia che mette in scena un Führer delirante, sistematicamente preso in giro dal pubblico.
La comicità presente nel romanzo è tutta concentrata in piccoli siparietti, legati per lo più a fraintendimenti e alla poca dimestichezza di Hitler con la tecnologia e la società contemporanea. Ma si tratta di brevi spezzoni, molti dei quali suscitano nient’altro che un leggero sorriso nel lettore italiano, al quale mancano le informazioni necessarie per codificare battute legate a sconosciuti uomini politici o di spettacolo.
Lui è tornato è, prima di tutto, un romanzo di satira sociale, nel quale il What if non è tanto legato al “cosa farebbe Hitler se si trovasse catapultato nel 2016”, quanto al “cosa farebbe la Germania se Hitler tornasse in vita”. E la risposta che Vermes dà, a conclusione del romanzo, è desolante e spaventosa.
“Oggi si descrive volentieri il nazionalsocialismo come un movimento composto da pochi fanatici decisi a tutto che abbindolarono un intero popolo. […] fu fatto un tentativo in tal senso. Nel 1924, a Monaco. Ma fallì […] Nel 1933, il popolo non fu affatto soggiogato da un’azione di propaganda. Allora fu eletto un Führer; in un modo che sarebbe considerato democratico addirittura oggi. […]
“Che cosa vuol dire con questo?”
“Che ci sono due possibilità: o c’era un intero popolo di maiali, oppure quello che è accaduto non è stata una porcheria, bensì l’espressione della volontà popolare.” [Timur Vermes, Lui è tornato, trad. di Francesca Gabelli, Bompiani, 2013, p. 311]
Così, Lui è tornato si rivela un romanzo attuale, meno leggero di quanto gli strilli in quarta di copertina vorrebbero far credere perché, in ultima analisi, l’Hitler di Vermes non fa ridere. Non c’è nulla di comico nelle sue esternazioni. Nelle battute sessiste e razziste, nella retorica della potenza. Eppure, il folle Hitler di YouTube è una macchina di luoghi comuni infarciti di retorica talmente paradossali da suscitare nel pubblico simpatia e risate irrefrenabili.
Vermes sceglie di concludere il romanzo con una corposa e utile appendice, ricca di dettagli e di note che mostrano la cura e la scrupolosità adottata dall’autore nel documentarsi sul suo personaggio, prima di portarlo sul palcoscenico e piazzargli l’occhio di bue in faccia. Un’appendice essenziale per una lettura e una comprensione completa della storia e che merita di essere letta. Così come il romanzo.
Federica Leonardi