Forse a molti di voi il suo nome è già noto. Philip K. Dick deve gran parte della propria fama (per lo più postuma) alle trasposizioni cinematografiche delle sue opere, prima fra tutte il celeberrimo film diretto da Ridley Scott, Blade Runner (1982), del quale, tra breve, uscirà il seguito (Blade Runner 2049). Tratto dal romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (1968), Blade Runner fu solo il primo di una lunga serie di film direttamente ispirati ai romanzi e racconti di PKD: Atto di forza (1990), Minority Report (2002) e Paycheck (2003) sono solo alcuni esempi del grande sodalizio stretto tra il cinema e l’opera dickiana.
Autore di fantascienza estremamente prolifico (scrisse oltre 40 romanzi e centinaia di racconti), dotato di una vena immaginifica fuori dal comune, Dick fu uno dei primi autori a trascendere il genere. I suoi romanzi, vere e proprie disamine filosofiche, affrontano due questioni di portata colossale: cosa è umano? e cosa è reale?. Oggi considerato come uno dei più importanti scrittori americani del secondo dopoguerra, Dick cercò per quasi tutta la sua vita, segnata da ristrettezze economiche, gravi malattie e crisi nervose, un riconoscimento da parte della cultura mainstream che a lungo lo ignorò. Adesso, a più di trent’anni dalla sua morte, non solo ammettiamo l’originalità e la complessità della sua produzione artistica ma riconosciamo anche l’immenso valore che ebbe nell’anticipare tematiche e riflessioni di generi e correnti letterarie a lui posteriori, come il cyberpunk e il postmoderno. Tale è l’impatto che ebbe sulla cultura popolare, che oggi assistiamo ad una sua vera e propria riscoperta: Amazon ha recentemente prodotto una serie tratta da uno dei suoi migliori romanzi, The man in the high castle (La svastica sul sole” “1962), e sta dando il via alle riprese di una seconda serie ispirata all’immaginario dickiano, Electric Dreams.
Philip Kindred e Jane Charlotte Dick nacquero a Chicago il 16 dicembre 1928, prematuri di 6 settimane. La sorella, purtroppo, morì poche settimane più tardi, probabilmente a causa di un’intolleranza al latte materno. L’evento segnò tragicamente l’intera vita di Philip, tanto che, nonostante fosse troppo piccolo per serbarne un qualche ricordo cosciente, scrisse diffusamente su di lei nelle sue lettere, nei suoi saggi e nel suo diario (L’esegesi). A lei è ispirata la figura della ragazza dai capelli scuri che compare spesso nei suoi scritti. I genitori si separarono pochi anni più tardi e Dick visse per lungo tempo con la madre Dorothy, a Berkeley. L’ambiente radicale e progressista della città californiana giocherà una grande influenza nelle opere di Dick, sempre attento nell’analizzare i costumi e la società dell’epoca in cui furono scritte.
Philip trascorse un’adolescenza travagliata e solitaria, con risultati scolastici altalenanti, nonostante alcuni insegnanti non mancarono di sottolineare la sua viva intelligenza. Secondo quanto dice Lawrence Sutin in Divine Invasioni (2001) -la più completa tra le biografie del nostro-, Philip ebbe il primo incontro con la fantascienza all’età di 12 anni, quando comprò per sbaglio una rivista pulp al posto di un magazine di divulgazione scientifica. Il fatto deve essere accertato, tuttavia, è assodata la passione che PKD nutriva per le riviste pulp. Ed è infatti dall’immaginario piuttosto pacchiano e stereotipato dei pulp magazine che Philip mosse i suoi primi passi come scrittore.
Terminato il liceo, s’iscrisse all’Università di Berkeley e trovò lavoro presso due negozi di dischi, University Radio e Art Music. L’esperienza lavorativa lo soddisfò più di quella universitaria, tanto che la prima tornerà nella sua vita letteraria e ispirerà personaggi e situazioni di alcuni suoi romanzi, mentra la seconda finirà piuttosto velocemente con un insuccesso.
Si sposò per la prima volta all’età di 19 anni con Jeanette Marlin. Fu un rapporto breve e deludente con il quale inaugurò una lunga sfilza di matrimoni difficili. Nel 1949 conobbe la sua seconda moglie, Kleo Apostolides, che lo aiutò nel complicato periodo in cui decise di rinunciare al lavoro per tentare la carriera di scrittore. Nel 1952, il suo nome comparve sulla rivista pulp Planet Stories con Ora tocca al wub, un racconto semplice e tipico di quel periodo, ma che già evidenzia la grande abilità con cui Dick padroneggiava i topoi comuni dei racconti pulp. Nell’arco di soli due anni, PKD pubblicò sessanta racconti e nel 1956 il suo primo romanzo, Lotteria dello spazio.
La prima fase della sua carriera risentì ancora molto dell’influenza delle riviste pulp ed i suoi racconti vennero accostati dai critici alle opere di altri scrittori a lui contemporanei, in particolare Van Vogt. Tuttavia, sin dai primi romanzi emersero alcuni dei suoi elementi più tipici:
1- Una forte critica alla società e ai costumi americani;
2- La dicotomia illusione/realtà;
3- Lo scambio di identità uomo/macchina.
Fino al 1959, ossia fino alla rottura con la sua seconda moglie Kleo, possiamo parlare legittimamente di un primo Dick ancora immaturo ma promettente. I racconti di questo periodo hanno diverse pecche: la prosa talvolta è sciatta e alcune trame paiono impacciate. Tuttavia, dal grigiore di una non così esaltante prima produzione emergono due ottimi romanzi: Tempo fuor di sesto (1959) e Occhio nel cielo (1957), -il mio preferito tra i due.
Occhio nel cielo è il primo romanzo in cui Dick si pone la domanda “cosa è reale?” e l’affronta con grande acume. Le osservazioni fatte nel libro mostrano come Philip avesse bene appreso le lezioni di filosofia che gli erano state impartite durante il college: nell’opera, infatti, riecheggiano le idee di grandi menti come Hume, Berkeley e Kant.
Nel mio prossimo articolo, cercherò di sviscerare tutte queste influenze, andando ad analizzare nel dettaglio questo piccolo grande gioiello della SF!
Stefano Corradi