Pubblicato nel 1950, con un titolo che richiamava Charles Darwin, il classico della space opera di Alfred E. Van Vogt Crociera nell’infinito (tit. or. The Voyage of the Space Beagle), è in realtà un collage di quattro racconti, scritti dall’autore nell’arco di un ventennio.
Riuniti in un corpus unico, i racconti che compongono il romanzo sono incentrati sul viaggio della nave spaziale Argus, impegnata nell’ultima di una serie di missioni partite dalla Terra con l’obiettivo lo studio, la catalogazione e l’eventuale conquista delle razze e dei pianeti alieni.
Coeurl, Riim, Ixtl e Anabis, questi i nomi delle specie aliene nelle quali i personaggi umani si imbattono, durante il viaggio dell’Argus. Nomi che vengono utilizzati per rinominare i quattro racconti nel momento in cui vengono trasformati in capitoli del romanzo, dando una sorta di dignità naturalistica all’opera.
Allo stesso modo, il titolo che Van Vogt sceglie di dare al romanzo serve a creare un parallelo tra la missione spaziale dell’Argus e la missione di un’altra nave, questa volta pienamente terrestre, che nei primi dell’Ottocento partì alla volta dell’esplorazione di terre così sconosciute da rappresentare veri e propri micro mondi alieni sulla Terra, e che diede al naturalista Charles Darwin il materiale per la redazione della propria teoria dell’evoluzione.
Il primo dei racconti, Black Destroyer (che nel romanzo verrà rinominato Coeurl, riprendendo il nome della specie aliena protagonista della vicenda), è anche il primo racconto di fantascienza di Van Vogt; pubblicato nel luglio 1939 sulla rivista Astounding, Black Destroyer segna l’anno zero di quella che viene comunemente definita come l’epoca d’oro della fantascienza. In Black Destroyer l’Argus atterra su un pianeta che presenta i segni evidenti dell’ecatombe. La specie evoluta che abitava il pianeta sembra essersi estinta per cause belliche e il solo superstite è un grosso gatto tentacolare, dotato di un’intelligenza fuori dalla norma, che è spinto a entrare in contatto con l’equipaggio della missione per fame.
Lo scontro con la creatura si risolverà a favore dei membri dell’Argus grazie all’intervento provvidenziale di Grosvenor.
E proprio Grosvenor è l’elemento centrale del romanzo, il vero protagonista. Considerato elemento di terz’ordine rispetto agli scienziati che coabitano sull’Argus, Grosvenor si trova sulla nave per motivi che trascendono la missione originaria. Grosvenor è un connettivista, la cui scienza è lo studio delle compenetrazioni delle diverse scienze; un modo per dare continuità organica a una serie di nozioni che si considerano distinte le une dalle altre. Per il tipo di disciplina e di studio impartito dall’accademia connettivista, Grosvenor è identificabile come un superuomo, una super intelligenza umana in grado di prendere decisioni complesse eseguendo calcoli complicatissimi e che prevedono sempre l’analisi congiunta di diverse discipline. Il suo compito sull’Argus non è quello di studiare le specie aliene ma l’uomo, analizzando i meccanismi comportamentali che hanno portato i precedenti equipaggi a crisi tali da pregiudicarne gli esiti sperimentali o, addirittura, il rientro stesso.
Black Destroyer è quindi il primo episodio in cui il valore di Grosvenor viene messo in luce; un valore che si dimostrerà accresciuto di missione in missione, fino ad arrivare alla crisi indotta da M-33 (Anabis nel romanzo), che costringerà il connettivista a scelte tanto drastiche e tragiche che lo porranno di fronte a un dilemma morale dal quale non c’è soluzione.
I racconti di Van Vogt seguono tutti e quattro uno schema abbastanza facile da tracciare già a partire dal secondo racconto: Riim (War of Nerves). Nel corso delle quattro vicende narrate, gli uomini dell’equipaggio entrano in contatto con una creatura aliena, minaccia fisica evidente (Coeurl e Ixtl) o immateriale (Anabis e, per certi aspetti, i Riim) che mettono a dura prova la tenuta delle relazioni all’interno della missione e l’incolumità stessa dell’equipaggio. Il primo a rendersi conto delle minacce è proprio Grosvenor che è quindi chiamato anche a risolverle, spesso trovandosi contro il resto dei colleghi (tra i quali, antagonista principale di Grosvenor è il capo dei chimici, dittatore in fieri dell’Argus). La soluzione, anche quando il problema sembra impossibile da risolvere, è sempre a favore degli uomini.
Al di là dello schematismo delle trame, che ripercorrono la parabola: entità aliena – crisi – intervento del connettivista – sconfitta dell’alieno – ripresa del viaggio e che si riallacciano, in questo, alla parabola dei cicli storici che Van Vogt usa come base per l’analisi delle storie e della storia stessa dell’Argus, Crociera nell’infinito racchiude tra le sue pagine i primi esempi di una fantascienza esplorativa che dà vita a interi mondi pienamente extraterrestri ed extrasolari e a creature dotate di una notevole vividezza narrativa. Non soltanto, ma la forza dell’immaginazione di Van Vogt, per quanto riguarda le sue creature, è data dalla possibilità che tali specie extraterrestri esistano davvero. Quelle di Van Vogt sono creature complesse, assolutamente fantastiche, eppure potenzialmente reali e comunque presentate come tali attraverso solidi riferimenti alla chimica e alla fisica.
Se le trame hanno un intreccio banale e soluzioni spesso tirate per i capelli (come il modo in cui i componenti dell’Argus riescono a sbarazzarsi di Ixtl), che spesso si basano esclusivamente sulle capacità eccezionali di Grosvenor, non sono così scontate le creature e i mondi che Van Vogt crea. Ed è questo, più della tenuta dell’impianto narrativo o delle scelte stilistiche usate dallo scrittore, a dare valore a Crociera nell’infinito.
Come già accennato in precedenza, Van Vogt si avvale della teoria vichiana dei corsi e ricorsi storici sia come elemento d’indagine della minaccia che come sottotesto dei racconti stessi, mentre le forze che spingono le creature ad assalire o a entrare in contatto con i membri dell’Argus sono essenzialmente due: la fame (intesa anche come desiderio di conoscenza) e la ripoduzione. Tutte e quattro le entità aliene descritte da Van Vogt vivono infatti per sopravvivere e diffondersi, e questi impulsi creano i pretesti per lo sviluppo dei racconti.
Da questi impulsi non sono esenti gli uomini, ed è interessante allora fare il parallelo tra il bisogno di esistenza e di diffusione esplicato dalla missione del brigantino spaziale e quello delle creature estraterrestri. Nel gioco tra entità che cercano di sopravvivere, gli uomini vincono non per merito, ma per numero. Ixtl, Coeurl e Anabis, tra i tre l’entità più destabilizzante e più simile a un dio, non essendo stato creato ma essendosi formato spontaneamente da una concatenazione di eventi e di unioni atomiche, periscono non perché meno forti o capaci, ma perché soli. Anche gli uomini perirebbero, se non fosse grazie a Grosvenor, che tra tutti è in grado di connettere le diverse esperienze singolari di un individuo che in lui si ricompongono.
E non è un caso, allora, che l’unica minaccia portata avanti da un raggruppamento di più individui (Riim) venga dissipata proprio quando Grosvenor spezza quel legame, isolando un gruppo di individui e scardinando le loro certezze.
Oltre ad essere uno dei cardini della space opera e icona dell’epoca d’oro della fantascienza, Crociera nell’infinito ha dato vita al filone del connettivismo italiano, sottogenere della fantascienza, oltre a rappresentare un buon padre per il Dirk Gently di Douglas Adams. Ma Crociera nell’infinito è anche il romanzo entrato nella storia per la querelle, risoltasi senza spargimenti di atti giudiziari, tra lo scrittore e i produttori di Alien.
Accusato dai più di non avere uno stile, della debolezza degli intrecci e dell’inverosimiglianza delle trame, a Van Vogt va tributata la sua importanza nel genere. Gli va riconosciuta una notevole capacità di trascinare il lettore nel sense of wonder delle proprie creazioni, nella capacità di evocare realtà ultradimensionali e di creare dal nulla creature affascinanti, verosimili e meravigliosamente letali.
Federica Leonardi