Tutto bello e fantastico: partecipare a workshop di scrittura, frequentare corsi di laurea e passare le tempestose notti d’inverno a scrivere con la pioggia che batte contro i vetri della finestra.
Per quanto poetico tutto ciò possa sembrare, a bussare insistentemente alla porta dell’aspirante scrittore in viaggio è un indesiderato ospite: il lato finanziario del mestiere di scrivere. In altre parole, scrivere richiede tempo e pazienza, e lo scribacchino deve imparare a scandire i propri impegni con rigore se desidera riservarsi qualche ritaglio per sedersi alla scrivania e mettersi a lavoro.
Qualche tempo fa, in una libreria Oxfam a Holborn, Londra, sono incappata in un libriccino dal titolo How much do you think a writer needs to live on?, in cui molti scrittori, tra cui grandi nomi della letteratura inglese come Jonathan Coe e Julian Barnes, rispondono a un questionario sul lato “economico” della professione dello scrittore.
Ora, poniamo che il nostro scrittore in viaggio, catapultato in una nuova città dove seguire un corso di scrittura, sia un esordiente che col successo di Coe o Barnes non abbia assolutamente niente a che fare. Il nostro eroe, soprattutto se alle prese con una lingua diversa dalla propria, può decidere di sostenersi attraverso un qualsiasi lavoro che non sia strettamente legato alla scrittura.
Alcuni autori, come A. S. Byatt, suggeriscono di intraprendere posizioni lontanissime dal mondo letterario e accademico. Possibilmente, continua Julian Barnes, che non ti rubino l’energia che ti ruba il mestiere l’operaio, o il tempo richiesto al chirurgo. A. S. Byatt suggerisce un lavoro tranquillo come quello del giardiniere, che lascia molto tempo per pensare, e Simon Armitage rincara la dose affermando che il lavoro giusto per lo scrittore debba consentire lunghi momenti per fantasticare e sognare a occhi aperti.
I lavori meno indicati per sostenersi mentre si arranca faticosamente verso un’eventuale remunerazione per la propria scrittura, dice la stragrande maggioranza degli scrittori che rispondono al questionario, sono proprio quelli strettamente legati al mondo editoriale. Comprensibilmente: la pressione di scrivere recensioni di libri di colleghi più o meno stimati, di entrare in conflitto con case editrici e agenzie non costituisce, forse, il miglior clima in cui lo scrittore pubblicato possa muoversi. Jonathan Coe, che a lungo ha scritto recensioni di libri per importantissime testate britanniche, sostiene che questo lavoro “non faccia bene all’anima”. Sempre A. S. Byatt, invece, afferma che il mestiere dell’insegnante di letteratura possa essere tanto stancante quanto stimolante per lo scrittore e studioso di lettere.
Ma il nostro scrittore in viaggio, consapevole di quanto sia difficile riuscire a guadagnare attraverso le parole, può decidere di intraprendere un percorso che non abbia niente a che fare con la scrittura eppure cominciare a farsi strada nel mondo delle riviste, delle recensioni, e forse di una scrittura che, prima o poi, sarà remunerata.
Lavorare scrivendo, nel senso più ampio del termine, non è così assurdo come può sembrare. Nell’epoca dei social media e dei negozi online, lo scrittore può scrivere degli argomenti più disparati, sperando di trovare, un giorno, la passione per temi mai presi in considerazione prima.
Questo non significa piegarsi alle regole del mercato. Il talento può colpire improvvisamente, senza bisogno di anni e anni di gavetta e articoli sulle frange di un divano, ma può anche maturare con il tempo e con l’impegno di chi decide di dedicare la propria vita alla scrittura. Il nostro scrittore in viaggio, quando torna stanco morto dal lavoro – che sia il classico 9 – 5 in ufficio o un infinito turno da barista finito alle 5 di notte – è consapevole di non essere mai completamente libero: deve mettersi a sedere e cominciare a scrivere, spesso gratuitamente, per riviste, giornali online, blog che hanno bisogno del famigerato “content writing”. Tutti i siti web, da quelli che vendono prodotti vegani alle riviste di cultura e recensioni, hanno bisogno di più contenuti possibili per comparire tra i primi risultati di ricerca e quindi ottenere più visualizzazioni, convertibili in clienti. Ecco perché si forma una sorta di circolo vizioso: tutti vogliono scrivere e vedersi pubblicati, quindi sono disposti a farlo gratuitamente, e le riviste e i siti web hanno bisogno di contenuto, quindi spesso non remunerano gli scrittori. Per ogni scrittore che vuole essere pagato, ce ne sono molti altri che scrivono gratis.
Scrivere gratuitamente non è necessariamente un male. Essere pubblicati su riviste e blog, soprattutto all’estero, è un buon biglietto da visita da mostrare agli editor di riviste più famose e importanti, che possono invece permettersi di pagare i propri contributors.
Come nel lavoro dello studente consapevole di non essere mai libero dopo una lezione perché deve tornare a casa a studiare per gli esami che lo attendono, quello dello scrittore prevede una costante tensione verso ciò che deve essere scritto, verso nuove collaborazioni, verso un percorso che forse, un domani, porterà alla pubblicazione di un romanzo, una raccolta di poesie o di racconti per una casa editrice seria.
Moltissimi scrittori hanno cominciato così. Moltissimi altri, invece, hanno scritto grandi romanzi senza aver mai scritto blog o articoli sui siti web.
La professione dello scrittore non richiede un percorso istituzionalmente definito, ma richiede una grande umiltà, la ricerca, l’apertura mentale verso le convenzioni del mondo editoriale e commerciale. E’ solo imparando e facendo esperienza, cercando, studiando e scrivendo, che il nostro aspirante scrittore in viaggio può trovare i migliori punti d’attracco per la propria creatività.
Rachele Salvini