Ultimamente ho letto un libro scritto da un autore proveniente dalla mia città d’origine. Non è certo un luogo dalla grande tradizione letteraria – anche se il nostro autore più famoso ha avuto un momento di rivincita proprio quest’anno durante l’esame di maturità, cosa che comunque non ha arginato una bella ondata di polemiche sul “chi diavolo fosse Caproni”.
Avendo studiato all’estero per molto tempo, leggere un libro contemporaneo ambientato nella mia città d’origine mi ha fatto effetto. Fin da quando ero piccola sognavo di scrivere di luoghi fighissimi che avevo conosciuto solo nei film e nelle foto patinate – New York, Londra, Los Angeles, al massimo uno sperduto paesino tra i boschi scozzesi.
Neppure scrivere delle città più belle che avevo a due passi – Pisa, Firenze, Lucca, Roma e così via – mi bastava. Scrivevo di grandi città e usavo nomi stranieri che suonavano autentici come chi è nato a Poggibonsi e scrive su Facebook di essere originario a New York e di vivere a Hollywood – o, meglio, nel suo monolocale di due metri per tre in provincia di Prato.
Ora, quando ambiento i miei racconti nei luoghi che ho conosciuto e dove ho vissuto, non mi sento più in colpa. Sento solo di aver accumulato qualche esperienza che mi aiuta a scrivere di più e, possibilmente, meglio. Oggi vorrei parlare di cosa significhi scrivere di luoghi e culture diverse e cosa comporti fare ricerca per lo scrittore che desidera attribuire profondità alle sue opere.
1) Scrivi di ciò che conosci: le regole controverse della scrittura creativa.
Tutti provenienti dai manuali di scrittura creativa, sono moltissimi i “dogmi” che tuonano costantemente nella povera capoccia del lettore e aspirante scrittore. Uno di questi è l’invito a scrivere di ciò che si conosce, che invece molti scrittori hanno contestato. Cosa significa, d’altro canto, conoscere davvero? Lo scrittore che vive tutta la vita nella sua cittadina, magari circondato da libri e scartoffie accademiche, non conoscerà altro che la vita da autore e l’esperienza di quei pochi colleghi che lo accompagnano. Una noia mortale, insomma. Il desiderio di conoscere di più, di scrivere di altri mondi, città e persone è del tutto sano e legittimo. Ecco perché forse questa regola non andrebbe proprio presa alla lettera. Per esempio, non vale per una scrittrice che è anche una bravissima casalinga, non ha rapporti col marito da tre anni, il cui picco di eccitazione massima annuale è preparare il cheesecake per il compleanno del figlio, ma che scrive thriller erotici da paura. E’ uno scenario che capita più frequentemente di quanto si immagini. Se la scrittrice desidera conoscere un mondo diverso e scrivere dal punto di vista di persone completamente diverse da lei, può benissimo farlo. Leggendo montagne di libri e facendo ricerca.
2) Trovare il grande nelle piccole cose.
Una delle ricette per raggiungere la tanto agognata felicità è quella di trovare la gioia nelle piccole cose. Un meme, un fiore, una canzone, un caffè al bar: le piccolissime cose che fanno tornare il sorriso. Ecco, con la scrittura è lo stesso. Lo scrittore non solo immagina, ma osserva, e trova lo straordinario nelle piccole sfumature della vita quotidiana, nella mancanza di senso dell’esistenza che si riscatta attraverso minuscoli gesti o episodi degni di essere raccontati. Lo scrittore lavora sulle piccole cose, le fa sue, le modifica, le amplia, le modella. All’inizio del pezzo vi ho accennato dello scrittore livornese di cui stavo leggendo il libro. La descrizione dei luoghi da me sempre frequentati, i loro nomi esposti sulla carta come avrei potuto leggere di Park Avenue in Sex & The City o di Piccadilly Circus in Il Diario di Bridget Jones, mi hanno fatto sentire come se fosse stata violata la mia privacy e allo stesso tempo come se non mi fossi mai resa conto dell’enorme potenziale narrativo della mia città. I luoghi magnifici che avevo dato per scontato per anni erano improvvisamente ricchi di ipotetiche storie nascoste in ogni angolo. Insomma, il primo passo nella ricerca dello scrittore è proprio questo: non sottovalutare mai luoghi, esperienze, persone conosciute, piccoli dettagli della vita di tutti i giorni. Tutto può essere fonte di ispirazione.
3) Essere ricettivi.
Aguzzare l’ingegno è indubbiamente il modo giusto per pianificare una trama e trovare le parole migliori da usare in ogni singola frase, ma il lavoro dello scrittore consiste anche nell’osservare, ascoltare, assaggiare, annusare, toccare con mano. Lo scrittore è pronto a capire ciò che il mondo ha da offrire e a trarre vantaggio da ogni situazione. In un momento in cui tutti stanno chini con la testa sul telefono anche mentre camminano per strada (è successo a tutti, almeno una volta), guardarsi intorno non è mai sbagliato. Non abbiate paura di spegnere la musica nelle cuffiette e ascoltare l’animata conversazione di chi sta bevendo un caffè di fianco a voi al bar o di chi parla seduto sul bus. Cercate di non farvi beccare, ma non peritatevi. Allo stesso modo, osservate chi vi circonda, provando a non incappare in denunce o insulti per essere stati pizzicati a fissare un po’ troppo il tipo seduto davanti a voi. Siate ricettivi senza essere (troppo) indiscreti.
Le persone sono spesso felici di parlare delle proprie esperienze passate e presenti, basta vedere il successo di Humans of New York. Se volete ambientare un racconto su una barca, andate al porto e intervistate il primo pescatore che vi sembra impegnato a pulire le reti e in vena di una nostalgica conversazione. Portatevi un cellulare per registrare, un blocchetto per gli appunti, e state attenti a tutto. Ai suoi gesti, alle sue parole, alle sue espressioni facciali. Buttarsi e decidere di esplorare il mondo in tutta la sua completezza per scrivere un racconto nuovo, che dimostri la vostra capacità di adattamento e la vostra intraprendenza nella ricerca, è sicuramente un punto fondamentale nella vita dell’ingenuo aspirante scribacchino che è in noi.
Rachele Salvini