“L’orco guardò il piccolo umano, chiuse la mano a pugno e se la ficcò nella narice per scavare bene in profondità. Poi rise: tra i denti aveva pezzi di tutto ciò che di tenero esiste al mondo.”
Ogni volta che si parla di specie diverse nei giochi di ruolo o nei romanzi fantasy, ci si deve rassegnare che, la maggior parte delle volte, avremo a che fare con delle simpatiche copie già descritte, trite e ritrite dai grandi della letteratura fantastica
In parte è giusto così: le idee di chi ha delineato le caratteristiche di specie come gli Elfi, i Nani e gli Hallfling (o Hobbit, a seconda dell’ambientazione), attingendo a racconti e leggende molto antiche, certo sono sempre da tenere presenti.
In parte è seccante e basta: capita di leggere romanzi in cui le caratteristiche delle altre specie sono descritte genericamente, solo perché “così dev’essere e così è giusto”.
Non si tende a giustificare perché, in una data ambientazione, i nani vivono sottoterra o gli elfi abbiano cominciato a costruire archi; perché gli orchi siano malvagi e senza dei, e perché i troll non siano poi così amichevoli. “Ipse dixit”, è così e basta.
Si tende ad “accettare” di porre nel proprio mondo di ambientazione queste razze facendo un vero e proprio porting generico, senza interrogarsi sul fatto che, per stare bene in un’ambientazione diversa da quella della Terra di Mezzo, o di Shannara o simili, magari una caratteristica o due di queste specie andrebbe rimodernata e/o rivista.
Da qui, questo articolo: quali sono le razze più clichéttose e peggio utilizzate nelle storie fantasy? E in quali ambiti, prima di un porting, sarebbe bene chiedersi cosa rivedere di loro?
Nella scorsa puntata abbiamo dato un’occhiata insieme a tre “grandissimi” della letteratura fantasy: L’Elfo, il Nano e il Vampiro. Ora è il momento di due ragazzi cattivi.
Fate spazio all’Orco e al Licantropo.
Orchi
“Rompizanne era un orco come tanti. Non era difficile ai più capire cosa desiderasse: quando si voleva azzuffare agitava la sua grossa mazza e ringhiava. Quando voleva fare all’amore, invece, ringhiava e poi agitava la grossa mazza. Se per caso, guardandosi allo specchio, si sentiva troppo grasso, non conoscendo le diete-Zona e la pericolosità dell’assumere troppe proteine – cosa che può portare all’alzamento del Colesterolo – scendeva al villaggio e si procurava un po’ di carne a km0. Rompizanne era il capo della sua tribù e nessuno che non fosse cattivissimo era ammesso a farne parte. A meno che, e questo è il punto, signori miei, non si trattasse di orchi con occhi molto, molto ravvicinati.”
Caratteristiche comuni dell’Orco generico:
– Non descritto: è un orco. Orcs gonna Orc.
– È carismatico come un ubriaco che rutta dentro una piazza assolata e vuota a Ferragosto
– Al dubbio dello scrittore “E ora come lo faccio vestire, questo stramaledetto orco?” segue spesso un “Boh. Vada per la pelliccia.” Tutti gli orchi hanno lo stesso sarto. E sono ottimi pellicciai.
– Vive in tribù. Mai scoperte le bellezze del feudalesimo.
– Vogliono conquistare tutto. Ma proprio TUTTO. Per farne cosa, poi, non si sa, visto che (segue)…
– … non sono abbastanza intelligenti per tenere unito un regno, né per essere i veri villain.
– Pssst, avvicinati, ti rivelo un segreto: l’overlord li sta manovrando tutti! … Ed è umano.
Rischio:
Il rischio, con figure come gli orchi, è quello di renderli palesi minions che seguono il malvagio overlord senza chiedersi nemmeno “perché”, oppure i tipici avversari iniziali cui non ha nemmeno senso sviluppare una personalità.
Come utilizzarli:
Esistono numerose opere che rivalutano e ricostruiscono in maniera ottimale e “personale” la figura dell’Orco. Nel mondo ludico abbiamo gli orchi di Warcraft o quelli di Gothic (loro sì che ci riescono a mettere in ginocchio un regno!). E come non pensare alla figura dell’orco nel film d’animazione Shrek? Poi ci sono gli orchi del gioco di ruolo Shadowrun, visti dalla società come veri e propri punk in motocicletta, ma pronti a lottare contro i pregiudizi (e spesso, loro malgrado, dai pregiudizi vengono schiacciati).
Un consiglio: se volete che un gruppo di orchi dia fastidio ai vostri eroi, provate a concentrarvi per lo meno sul capo e su due o tre figure notabili: descrivete molto bene il capo e il suo modo di fare; fate lo stesso, per esempio, con la sciamana e il più forte guerriero della tribù. E poi gli altri possono essere pure ricordati solo con due o tre nomi. Le tre figure più importanti contano per dare “colore” e “identità” alla tribù e non renderla “una” tribù a caso come tante, ma “quella” tribù in particolare.
Se nel nostro fantasy compare un orco, evitiamo di renderlo una macchietta e dotiamolo di una o due caratteristiche che lo rendano non solo un membro della sua specie, ma un vero e proprio personaggio degno di essere ricordato. Attenzione: non per forza amato. Ricordato!
Domande importanti:
– Cosa piace fare a quest’orco?
– Cosa odia?
– Per quale motivo si alza ogni mattina?
– Segue un qualche codice morale?
– Conosce e comprende il concetto dell’onore?
– Ha un nemico giurato oppure un grandissimo amico?
– In che tipo di società ha vissuto?
Licantropi
“Dingo Wolf era un lupo mannaro. Era stato morso da suo padre, Balto Wolf, in una notte di luna piena. Da quel momento la sua vita era cambiata: senza iscriversi in palestra aveva messo su un’ingente massa muscolare che lo portava a strappare sì e no due t-shirt al giorno. Pensava che questo gli sarebbe servito a conquistare una ragazza gnocca che prima non lo guardava affatto e che, all’indomani della trasformazione di Dingo, perseverava nel considerarlo solo un amico, molto più presa dalla bellezza emaciata di Darko Von Foskovitch – che chiaramente non era un vampiro. E così Dingo raggiungeva la sua tribù navajo e ululava, struggendosi d’amore.”
Caratteristiche comuni del Licantropo generico:
– È descritto con un aspetto che, se va bene, condivide i favoriti con Heathcliff di Cime Tempestose e, se va male, è la gamba di una donna in pieno inverno.
– Anche in forma umana non parla: ringhia, grugnisce, abbaia, ruggisce.
– Non fatelo arrabbiare!
– Una frase sì e una no deve far capire ai propri interlocutori che è instabile, impossibile da gestire, più problematico di un personaggio di Twin Peaks. C’è da chiedersi se questa cosa in qualche modo non lo compiaccia.
– Se compare nello stesso romanzo al fianco di un vampiro e di una donna umana, va da sé che il favorito non sarà lui.
– Notoriamente isterico.
– Quando si arrabbia / si strugge viene preso da una sindrome detta “delle vene dure”, che lo porta a tendere il forte e taurino collo mentre Dingo si rende conto che “nessuno potrà mai amare una bestia”.
Rischio:
La problematica tipica legata all’inserimento di un personaggio licantropo, buono, cattivo o “figura grigia” che sia, riguarda la confusione in ciò che riguarda la sua condizione. Esistono vari generi di licantropi, tutti accettati e coniati dalla letteratura horror: il “tipico” lupo mannaro americano, quello dei nativi americani e delle leggende indiane. Il lupo mannaro più “gentleman” inglese, che vive con struggimento romantico la sua terribile condizione. Il lupo mannaro che si trasforma a piacimento, o quello che, più come Hulk, cambia forma non riuscendo a contenere la rabbia. E, ovviamente, il licantropo che, per trasmutare, deve attendere la famosa luna piena (nb. Remus Lupin in Harry Potter). Il rischio è di non spiegare bene in quali condizioni avvenga la trasformazione, se si tratta di una maledizione oppure no (nel gioco di ruolo Werewolf i Licantropi sono tali per volere della terra stessa: sono i custodi di Gaia, dunque la loro condizione è vista positivamente).
Dunque si badi bene di non creare un mischione e di cercare bene il proprio lupo mannaro in tutte queste variegature di personaggi e possibilità. E magari, chissà, creando anche qualcosa di nuovo!
Come utilizzarli:
Il lupo mannaro è una figura potenzialmente affascinante, e molto pericolosa. Vale la pena di lavorarci bene.
– Se il lupo mannaro è un protagonista è meglio approfondire la sua trasformazione, anche cambiando il metodo del “contagio” se si ha una buona idea, dal classico morso a qualcos’altro.
– In generale è sempre meglio approfondire la psicologia stessa del licantropo: il personaggio cambia quando si trasforma, oppure è sempre lo stesso?
– È possibile tentare di “ammansire” la bestia dentro di lui?
– Chi è il “vero-io” del personaggio? L’uomo o il mostro?
In definitiva: è giusto cercare di evitare lo stereotipo, ma si devono sempre tenere presente la storia e il folklore delle specie che si scelgono di adoperare! Alcune caratteristiche degli elfi, dei nani, dei vampiri e degli orchi, sono innegabili (il vampiro, per essere tale, deve bere sangue, ed è chiaro che l’elfo debba avere una spiccata agilità e vivere a lungo, per esempio). Cercare di togliere ogni stereotipo per paura di crearlo, tende a produrre un contro-stereotipo, che è pessimo esattamente come metterli tutti.
E ora tocca a voi! Come vi rapportare con i cliché? Li ribaltate oppure vi piacciono? Li trovate noiosi oppure vi danno un senso di familiarità che non vi dispiace?
Fatevi sentire nei commenti!
Chiara Listo