C’è un aspetto della vita di Dick che, finora, abbiamo toccato solo di sfuggita: l’abuso di droghe. Dick fu principalmente un consumatore di anfetamine, ma sperimentò anche altre sostanze (come, ad esempio, LSD e la mescalina), senza, tuttavia, diventarne mai dipendente. Urge fare una precisazione: come coloro che mi seguono sin dal primo articolo sapranno, Dick era di Berkeley, uno dei centri nevralgici dell’ambiente liberal californiano e del di là a venire movimento sessantottino. In un contesto simile, l’uso di sostanze non era solamente diffuso, ma, anzi, incoraggiato. Eppure, Dick rimase pressoché indifferente alle esperienze psichedeliche e alle riflessioni mistiche esaltate dagli intellettuali e “guru delle droghe” a lui contemporanei. Come detto altre volte, l’uso che Dick faceva delle anfetamine aveva per lo più un fine pratico. D’altronde, senza una quasi costante somministrazione di stimolanti, non sarebbe sicuramente riuscito a sostenere ritmi di lavoro così estenuanti. Tuttavia, vi fu una fase della sua vita in cui l’abuso di sostanze prese il sopravvento.
Era il 1965 e Dick, trasferitosi nuovamente a Berkeley, si era da poco lasciato alle spalle un ennesimo matrimonio fallimentare – il terzo. Philip non era abituato alla solitudine e cercò in tutti i modi di evitarla. Per questa ragione si innamorò assai di frequente fino a quando non conobbe Nancy Hackett, una giovane studentessa dai lunghi capelli scuri, alquanto timida ed attraente. Dopo un lungo ed appassionato corteggiamento, Dick e Nancy prima convissero e poi si sposarono. Era il luglio del 1966. Esaltato dalla nuova relazione, Dick si sentì come rinato: dopo il grande sconforto seguito al divorzio con Anne e l’avvilente solitudine causata dall’assenza della sua unica figlia, Laura – rimasta sotto la tutela dell’ex-moglie – a Dick fu finalmente concesso un nuovo inizio. In Nancy, Philip trovò una moglie vivace, divertente ed affettuosa. I neo sposi si amavano di un amore viscerale, sostenuto da vicendevoli cure premurose. Infatti, entrambi avevano passato brutti momenti in gioventù. Nancy proveniva da una famiglia difficile: sua madre divorziò dal marito – uomo a tratti amorevole, ma collerico, alcolizzato e violento- per accompagnarsi successivamente con un uomo anch’esso alcolizzato e violento. Per di più, la stessa donna, la sola persona che mostrasse affetto nei suoi confronti, morì prematuramente quando Nancy aveva ancora 12 anni. Fu in quel momento che il padre biologico tornò per chiederne la custodia ma, fortunatamente, questi, nel frattempo, aveva sposato Maren Hackett, donna amorevole ed intelligente che prese Nancy e i suoi due fratelli, Michael ed Ann, sotto la propria ala.
La nuova stabilità data dal matrimonio permise a Dick di ricominciare a scrivere: nell’ultima parte del 1965 lavorò su due romanzi, La conquista di Ganimede (The Ganimede takeover – 1967) e In senso inverso (Counter-Clock World – 1967); nel 1966 scrisse il celeberrimo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (Do the Androids Dream of Electric Sheeps? – 1968) – il romanzo da cui poi fu tratta la sceneggiatura di Blade Runner – ed un romanzo di fantascienza per l’infanzia Nick e il Glimmung (Nick and the Glimmung – 1988). Ma fra tutti questi scritti, Ubik (1969) è il vero capolavoro. Ambientato in un futuro in cui lo spionaggio industriale è diventato una guerra a tutti gli effetti, il romanzo comincia con un’imboscata tesa ai danni di Glen Runciter e dei suoi collaboratori dotati di poteri psichici, per poi tracimare, come al solito, in un’odissea metafisica. In seguito all’esplosione di una bomba, Joe Chip, dipendente nonché amico di Runciter, assieme ai suoi colleghi, è costretto con amarezza a dover trasportare il cadavere del proprio capo al Moratorium Diletti Fratelli, dove potranno tenerlo in una condizione di “semivita”. Tuttavia, la situazione fa presto a complicarsi: i dipendenti di Runciter osservano gli oggetti intorno a loro regredire: i videotelefoni si trasformano in vecchi telefoni in bachelite, i velivoli moderni diventano aerei a elica e le auto tornano indietro di almeno sessant’anni. Come se non bastasse, la figura di Runciter, come un fantasma, appare nei momenti e nei modi più sorprendenti, facendo dubitare tutti su chi è vivo e chi è morto. Seguendo il classico filone dickiano basato sulla ormai solita domanda – cosa è reale?– , Ubik aggiunge ancora più spessore metafisico alla tematica e resta uno dei grandi ed imprescindibili capolavori dello scrittore californiano.
Insomma, nonostante una lunga serie di trascorsi burrascosi, tutto sembrava volgere al meglio per Philip: aveva una moglie giovane, bella e premurosa, scriveva con continuità e, a breve, avrebbe avuto un’altra figlia, Isolde Freya. La situazione, tuttavia, precipitò nel 1967, quando Dick divenne un consumatore di anfetamine sempre più assiduo. La sua passione per le pillole lo portò a frequentare anche spacciatori di strada e presto la sua casa divenne un punto di ritrovo per spacciatori e consumatori di ogni tipo. Ma l’abuso di droghe costituiva solo una parte del problema: il suicidio di Marien Hackett – la matrigna di Nancy -, l’instabilità economica, un’indagine del fisco, infedeltà coniugali, le varie difficoltà annesse al doversi prendere cura di una neonata minarono fortemente le fondamenta del loro rapporto, il quale, purtroppo, andò in frantumi nel 1970. Fu a causa di questo ulteriore dispiacere amoroso che Dick cominciò ad abusare ancora di più delle anfetamine. Spinto da un forte bisogno di compagnia, rese la propria casa accessibile a chiunque. Le sue conoscenze, unite alla sua parlantina accattivante e all’inesauribile offerta di droghe, con l’aggiunta di birra e musica, lo resero una vera e propria attrazione per nugoli di giovani emarginati, drogati, fuggiaschi e altri vari freak dell’epoca. Pur di non stare solo, Philip scelse di abbracciare il caos. Abbandonò il vecchio stile di vita ed iniziò a spendere le proprie giornate buttando giù una pillola dietro l’altra e discorrendo di qualsiasi cosa con ragazzi più giovani di almeno vent’anni. Da questo completo marasma, Dick prese ispirazione per quello che può essere considerato come uno dei libri sulla tossicodipendenza più belli mai scritti: Un oscuro scrutare (A Scanner Darkly – 1977). Ambientato nell’allora futuro 1994, il romanzo segue le vicissitudini di Bob Arctor, un poliziotto infiltrato all’interno di una casa di tossicodipendenti che cerca di scoprire l’origine di una nuova e potentissima droga che sta dilagando per le strade della città. Nota come sostanza M o, altresì chiamata, Morte, questa sostanza ha vari effetti collaterali, ma, tra questi, uno è particolarmente degno di nota: la progressiva separazione dei due emisferi cerebrali con conseguente schizofrenia. Bob, quando fa rapporto ai suoi superiori, si fa chiamare Fred e nasconde la propria identità all’interno di una tuta disindividuante, la quale ne confonde i lineamenti, così da preservare la segretezza della sua operazione. Questa doppia vita, assieme all’abuso della sostanza M, porta Bob/Fred a credersi due persone completamente distinte. Cosicché quando Fred, nascosto dalla sua tuta, osserva i nastri delle telecamere segretamente installate nella casa e scruta i movimenti di Bob, non comprende, in realtà, di stare spiando sé stesso. Un oscuro scrutare, romanzo che andremo ad analizzare nel prossimo appuntamento, getta una luce tetra sulla controcultura delle droghe, svelandone le contraddizioni e gli anfratti più oscuri. L’immagine presentata da Dick è quella di un’epoca – il ‘68 – ormai priva di qualsiasi tipo di attrattiva, una foto in negativo di una cultura che ha perso la propria forza rinnovatrice e che lascia dietro di sé nient’altro che discorsi sconclusionati e freak paranoici perditempo. Eppure, dietro tutto questo orrore, una figura femminile brilla, donando la speranza di cui quel mondo – così come il nostro – ha disperatamente bisogno.
una scena tratta dal film A Scanner Darkly, ispirato al romanzo Un oscuro scrutare
Stefano Corradi