Ci sono dei momenti in cui il nostro aspirante scrittore si blocca. Il blocco dello scrittore è un argomento di cui hanno parlato in tantissimi e non penso di poter portare un nuovo contributo al riguardo. E’ normale avere paura della pagina bianca, è normale sentirsi del tutto privi d’idee e stremati dal punto di vista creativo. E’ normale anche attraversare un periodo in cui tutto ciò che si scrive sembra uno schifo. Ho sempre pensato che il segreto per combattere la mancanza d’idee fosse quella di leggere, guardare film, ascoltare le storie di chi ci circonda. A mano a mano che espandiamo la nostra conoscenza, alla fine le idee arrivano. E per quanto riguarda la fiducia nella nostra scrittura, sedersi alla scrivania e non smettere mai di provarci è probabilmente la prima cosa da fare.
Ma ci sono momenti in cui, anche se l’aspirante scrittore si sente traboccante di idee e di progetti, anche se mentre è in autobus, sotto la doccia, alle lezioni di scrittura, non pensa altro che a tornare a casa e metter su carta ogni parola, questo poi non succede. E il taccuino resta chiuso. Il computer resta spento.
C’è un blocco che va oltre la mancanza d’idee. E’ un blocco che può benissimo avere a che vedere con la mancanza di tempo e la stanchezza, certo, ma il più delle volte è semplicemente un blocco. Un ostacolo. Un impedimento. Non è una questione di ansia della pagina bianca, perché spesso e volentieri si tratterebbe di continuare progetti già cominciati o, addirittura, finiti e pronti per una revisione.
Ma cos’è che impedisce al nostro eroico aspirante scrittore di andare avanti? Ovviamente i fattori possono essere tanti, ma quello che voglio prendere in analisi oggi è un fenomeno che mi è capitato proprio questo mese e di cui vorrei parlarvi. Perché scrivere è bellissimo, ma non è semplice.
Ho sentito dire che la fame e la libido sono le principali fonti della creatività. L’ha detto uno scrittore di cui non ricordo il nome. Le situazioni di sofferenza, lutto, perdita, sono sicuramente alla base di molte storie che amiamo e leggiamo. Gli scrittori afflitti dal mal d’amore hanno sempre sfogato tutte le proprie frustrazioni in meravigliose opere d’arte. Da che mondo e mondo, l’amore è al centro dell’arte, e non solo quello romantico. La perdita e il lutto sono stati motori di opere stratosferiche, così come la distanza da casa o da un luogo particolare, o la presenza fisica dell’autore in un posto dai tratti assolutamente nuovi, pronti per essere esplorati e approfonditi in una poesia o in un racconto.
Ma tutte queste bellissime opere sono frutto di sofferenza e difficoltà. E anche se la scrittura per molti può essere rigenerante, per altri i traumi e i periodi particolarmente difficili possono essere solo accompagnati da ore passate a piangere, asfissiare gli amici al telefono e guardare serie tv mangiando pizza fredda.
La creatività è meravigliosa, ma, se affrontata seriamente, richiede impegno, serietà e logica. Questo significa che, anche se l’aspirante scrittore dal cuore spezzato scrive un racconto sotto i fumi dell’alcol, con la carta che s’impregna delle pesanti lacrime versate per l’amata ormai persa, tale pezzo conterrà probabilmente qualche schifezza melodrammatica. Non necessariamente il pezzo sarà da buttare, forse conterrà qualche idea interessante qua e là, ma sicuramente richiederà una lettura critica (magari in sobrietà) quando la fitta di dolore sarà quantomeno sfumata leggermente.
Anche cambiare città può contribuire sul bisogno di scrivere. Alcuni potrebbero sostenere che si tratti d’ispirazione, e a volte è così. Un luogo può ispirare meno di un altro, anche se spero che, dopo gli articoli precedenti, l’aspirante scrittore che mi legge (spero almeno uno!) sia d’accordo con me nel sostenere che l’ispirazione e l’attesa della musa che detti l’arte dall’alto sia solo un’illusione. Si può trarre ispirazione davvero da qualsiasi luogo in cui si passi del tempo.
Il blocco dello scrittore dunque non significa soltanto la mancanza di un’idea. Significa un distacco vero e proprio dal lavoro e dalla scrittura, qualsiasi siano le motivazioni. Alcuni luoghi, per esempio, possono atterrire lo scrittore. Quando mi sono trasferita a Londra pensavo di non poter mai comprendere una città così grande. Non potevo certo descrivere Londra nella sua complessità. Come potevo, io, studentessa italiana, far parte delle tanti voci di Londra? Come poteva il mio punto di vista italiano combinarsi con quello britannico? Avrei dovuto scrivere storie di italiani? Avrei mai potuto mettermi nei panni di una ragazza o ragazzo inglese?
Così, non ho scritto di Londra. Ho scritto d’altro per un po’. Ho girato la città, consapevole che avrei dovuto rinchiudermi a scrivere. Ho cercato di capire il mio quartiere e cosa mi circondava, provando a ricordare gli odori, i sapori, i visi della gente. Poi mi sono rinchiusa a scrivere. E la Londra che c’è in me è venuta fuori, dal mio angolo unico e preciso, frutto della mia esperienza.
Ora sono a Stillwater, che sembra il nome di una di quelle cittadine in cui potrebbe essere ambientato un vecchio Western con Clint Eastwood. O il villaggio perso nel nulla dove non succede granché finché un serial killer non viene beccato con un centinaio di cadaveri in decomposizione nel giardino sul retro. Stillwater si trova in Oklahoma, una terra estremamente piatta e costellata di laghi – ricetta sicura per un caldo asfissiante, un’umidità insopportabile e scarafaggi grossi come alluci. Larghe strade percorse da camion giganteschi e pick-up dalle ruote fangose, una serie di vecchi centri commerciali sparsi un po’ ovunque e casette col portico dove fumare e chiacchierare nelle notti lunghe notti estive. Nulla cambia, è la vita di provincia.
Sono arrivata qui con il cuore spezzato (per trasferirmi ho finito una relazione lunga cinque anni) e mi sono ritrovata in un luogo assurdo e completamente diverso da ciò a cui ero abituata. Non ho scritto narrativa per un mese. Nemmeno una riga. Nemmeno una parola.
Mi sono sentita in colpa e mi sento tuttora in colpa. Sono convinta che l’aspirante scrittore debba sfruttare ogni attimo per scrivere, per dedicarsi completamente alla scrittura. Non c’è da perder tempo, in un mondo di squali come quello della letteratura e dell’editoria. Ma ogni aspirante scrittore, in fondo, è umano, e scrivere richiede tempo e pazienza. L’amore, la distanza, la perdita, il lutto, lo shock culturale sono tutte esperienze che poi, col tempo, cambieranno l’aspirante scrittore e lo riempiranno di una nuovissima e meravigliosa fonte di creatività. Solo che, in certe situazioni, l’unica soluzione possibile è davvero abbracciare il dolore e lo shock di un trauma. Abbracciarlo e anche crogiolarsi, finché il tempo non lo spinge gentilmente via a calci nel sedere. E a quel punto, quando lo scrittore si sentirà abbastanza forte per sedersi alla scrivania e cominciare, tutto verrà fuori. Senza ostacoli né blocchi.
Rachele Salvini