Cari amici scrittori, ben trovati. State scrivendo? Spero di sì. E se state scrivendo, immagino, che siate, o siate stati, alle prese con l’aspetto più spinoso del vostro romanzo: l’incipit.
Perché anche quando la trama del racconto è già tutta in testa, i personaggi sono pronti con i loro pregi e difetti e finalmente si ha chiaro di cosa scrivere, resta la questione più importante: iniziare.
Ebbene, se siete stati attanagliati da un panico crescente, incapaci di scrivere una sola riga, oppure avete scritto e riscritto per giorni ma senza soddisfazione, siete sulla strada giusta.
Fate bene ad avere paura! L’incipit è il paragrafo più difficile da affrontare.
Addirittura il grande Stephen King – il Re – in un’intervista di qualche tempo fa ha dichiarato che quando inizia un libro dedica un lungo tempo (anche di settimane e mesi) al paragrafo di apertura, tanto da ricordare quasi a memoria ogni frase di apertura dei suoi romanzi.
Il suo incipit preferito? “This is what happended” dal romanzo di Douglas Fairbairn intitolato Shoot. E dei suoi lavori: “You’ve been here before”, memorabile inizio di Cose Preziose, unica frase in carattere 20 disposta su una pagina intera.
Dunque preoccupiamoci pure. L’inizio di un romanzo è per il lettore un vero e proprio incontro. Immaginate di trovarvi in una piazza affollata e di incrociare lo sguardo di una/un ragazza/o fra mille. Ecco: quel momento in cui rimanete imbrigliati qualche secondo in più senza riuscire a distogliere lo sguardo, è esattamente la sensazione che un buon autore deve provare a suscitare con il primo paragrafo del suo libro.
Se volete essere letti dovete essere in grado di creare una relazione immediata con il lettore, convincerlo che ciò che verrà nelle pagine successive gli interessa, lo riguarda, addirittura.
Non solo. Nell’incipit l’autore non si limita a presentare la sua storia: imprime il sapore dell’intero libro e si propone con il suo stile che deve essere unico, come una voce.
Facile, no?
No. D’altra parte la capacità di entrare in empatia con chi legge è la caratteristica principale richiesta a uno scrittore. E se questa capacità c’è, è nell’incipit che va dimostrata.
Non si deve, però, fare l’errore di pensare che scrivere un buon primo paragrafo sia un atto creativo ispirato da fonte divina. La scrittura, lo abbiamo detto tante volte, è un’arte non priva di regole precise.
Dunque, alzatevi dal divano. La risposta non si trova sul vostro soffitto, ma come al solito nei libri.
In rete ci sono tantissimi articoli che propongono classifiche dei migliori incipit di sempre.
Accanto ai grandi poeti del passato come Dante, Virgilio e D’Annunzio, si incontrano i capisaldi della lettura c.d. moderna (dai romanzi ottocenteschi in poi).
Quella che ho pensato di proporvi oggi è una riflessione un po’ diversa. Non amo le classifiche: io per prima non saprei scegliere. Mi sono chiesta, invece, che cosa rende un incipit indimenticabile? Quale è il segreto dello scrittore? Ho provato a individuare possibili “modelli” che possano essere una suggestione utile per riuscire finalmente a trovare la vostra voce.
Eccoli.
- NABOKOV E LA SUA INDIMENTICABILE OSSESSIONE AMOROSA: LO –LI- TA
“Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo-li-ta.
Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo un metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita.”
Ogni volta che rileggo queste poche righe, rivive in me il desiderio di rileggere tutto il libro. Pazzesco.
Per chi non conoscesse la trama, Lolita è un romanzo di Vladimir Nabokov, pubblicato nel 1959 e che tratta della ossessione amorosa di un professore di letteratura nei confronti della figliastra dodicenne.
Romanzo dai contenuti scabrosi, riesce a rivelare fin dalle prime righe la carnalità e la disperazione che permeano l’intero racconto. Provate a sillabare la parola Lo –li – ta, così come suggerito dal protagonista e immaginate quest’uomo in contemplazione erotica di un’adolescente con un calzino solo. Avvertite la lascivia morbosa del gesto?
Ecco: in poche righe Nabokov, affidandosi alla voce del suo personaggio, ci rivela un segreto inconfessabile. Impossibile smettere di leggere, ormai ne fai parte.
- IL MALE DI VIVERE DI HOLDEN, IL DISINCANTO PRATICO DI MOMO
“Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non va proprio di parlarne”
Nell’iconico Il Giovane Holden, di J.D. Salinger troviamo un altro incipit in cui l’autore lascia al protagonista l’onere di presentarsi. Chi non conosce l’ironia disperata di Holden Caulfield?
Ebbene, l’indifferenza cinica di questo ragazzo, divenuto simbolo della contestazione di un’intera epoca, emerge fin dalle prime righe del romanzo. Holden ci dice subito che tutto quello che racconterà, ciò che lui stesso è, non gli interessa. Che nulla per lui ha importanza, ma che, ciò nonostante, vuole provare a raccontare la sua storia. Forse per riuscire a sentire qualcosa, a sentirsi parte di qualcosa. Inizio struggente (al pari del celebre finale) che definisce l’intero romanzo.
A Holden voglio affiancare il piccolo Momo, orfano arabo cresciuto nel quartiere multietnico di Belleville a Parigi e affidato alle cure di un’ex prostituta ebrea di Una vita davanti a sé. Il romanzo di Romain Gary (scritto sotto lo pseudonimo di Emile Ajar) introduce alla nascente società multietnica europea e si caratterizza per il nuovo linguaggio gergale. Con questo libro Gary, con lo pseudonimo di Ajar vinse per la seconda volta il Premio Goncourt e, dunque, costituisce l’unica eccezione nella storia del premio che prevede la possibilità di essere assegnato per una sola volta. Anche in questo caso, come per il Giovane Holden, è il protagonista ad accogliere il lettore:
“Per prima cosa vi posso dire che abitavamo al sesto piano senza ascensore e che per Madame Rosa, con tutti quei chili che si portava addosso e con due gambe sole, questa era una vera e propria ragione di vita quotidiana, con tutte le preoccupazioni e affanni.”
In sole tre righe sappiamo che Momo vive in un alloggio modesto (senza ascensore), con una donna – Madame Rosa – che chiaramente non è sua madre e in una condizione difficile (con tutte le preoccupazioni e affanni). Il lettore si incuriosisce. Intuisce il disincanto di questo bambino, consapevole della sua stessa precarietà di vita e vuole saperne di più.
- LA CITAZIONE LETTERARIA: L’INCIPIT TECNICO
A volte la citazione letteraria può essere un modo intelligente per iniziare. Come in un gioco di scatole cinesi l’autore affida la sua storia alla suggestione ricevuta da altri romanzi.
La finalità può essere duplice. Il richiamo a un libro famoso da parte di un personaggio nuovo può dire al lettore molto di più di mille descrizioni, perché induce a una definizione per relationem. Se il protagonista ama per esempio gli autori russi, suscita subito l’idea di un amante della letteratura classica, probabilmente con un carattere intimista e complesso e così via.
In altri casi, l’autore usa un’autocitazione: richiama un proprio precedente romanzo. In questo modo, in poche righe e senza interminabili spiegazioni, ottiene di richiamare l’atmosfera di una storia precedente, probabilmente già nota al lettore.
Ecco un esempio del primo caso, in cui addirittura, l’incipit è costituito dalla citazione di altri incipit fra i più famosi della storia della letteratura:
“Avevo sempre immaginato che la storia della mia vita, se un giorno l’avessi mai scritta, sarebbe cominciata con un capoverso memorabile: lirico come il «Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi» di Nabokov o, se non altro, di grande respiro come il tolstojano: «Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo». La gente ricorda espressioni del genere anche quando del libro ha dimenticato tutto il resto. Comunque, a proposito di incipit, il migliore a mio avviso non può che ritenersi quello del Buon soldato di Ford Madox Ford: «Questa è la storia più triste che abbia mai sentito». L’ho letto decine di volte, ma ancora mi lascia di stucco. Ford Madox Ford è stato Un Grande”.
Poco più avanti nella lettura si scopre che il protagonista di questo libro, Firmino (Sam Savage) è un topo, ma il lettore sa già che è un amante della letteratura e si incuriosisce. Un topo lettore?
Esempi del secondo caso (l’autocitazione), si trovano in autori famosissimi:
Mark Twain, Le avventure di Huckleberry Finn:
“Voi non sapete nulla di me, a meno che non abbiate letto un libro chiamato Le avventure di Tom Sawyer; ma non importa. Quel libro fu scritto dal signor Mark Twain, che per lo più disse la verità. C’erano delle esagerazioni, ma per lo più egli disse la verità. Questo non dimostra nulla.”
L’autore qui cita non solo il romanzo precedente, ma se stesso, affidandosi al giudizio di Huck. Si creano, perciò, diversi piani del racconto, fra finzione e realtà.
Il riferimento diretto all’autore si trova anche nel celebre Se una notte d’ inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Romanzo unico nel suo genere, può definirsi il romanzo degli incipit. Il protagonista, infatti, per varie vicissitudini, viene continuamente interrotto nella lettura per poi ritrovarsi alle prese con l’inizio di un romanzo diverso.
“Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: «Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!”
- IL MESSAGGIO
Il paragrafo iniziale può, ancora, veicolare il messaggio del romanzo, proposto in poche parole d’impatto. In questo caso l’autore, prima ancora di definire la storia e i personaggi, comunica al lettore il senso del proprio libro.
Esempio di questo tipo di scelta è senza dubbio l’indimenticabile incipit di Anna Karenina, citato sopra nell’incipit di Firmino, ma anche la struggente invettiva di Se questo è un uomo di Primo Levi:
“Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi.”
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Si potrebbe continuare all’infinito. Ho selezionato tantissimi incipit interessanti di cui si potrebbe discutere. Dai più celebri, come l’inizio de Lo Straniero di Albert Camus (Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so.), quello de il Grande Gasby di Francis Scott Fitzgerald (Nei miei anni più giovani e vulnerabili mio padre mi diede un consiglio che non ho mai smesso di considerare. “Ogni volta che ti sentirai di criticare qualcuno», mi disse, «ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i tuoi stessi vantaggi) o quello de la Metamorfosi di Franz Kafka (Gregor Samsa, destandosi un mattino da sogni inquieti, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto. Se ne stava disteso sul dorso, duro come una corazza, e se sollevava appena il capo poteva vedere il suo ventre convesso, bruno, solcato da nervature arcuate, sulla cui sommità la coperta, pronta a scivolare del tutto da un momento all’altro, si manteneva a stento. Le zampe, numerose e penosamente sottili rispetto alle dimensioni del corpo, gli si agitavano imponenti davanti agli occhi.) a quelli più inconsueti (ad esempio l’incipit di Cecità di Josè Saramago sembra introdurre una scena ordinaria, di traffico stradale, quando improvvisamente irrompe la cecità collettiva), fino ad arrivare ai flashforward, che al contrario del flashback anticipano un accadimento futuro (ad esempio, nell’incipit del fortunatissimo Twilight di Stephenie Meyer la protagonista anticipa un pensiero che farà in un momento successivo, nel corso del romanzo).
In conclusione, per scrivere un buon incipit il primo e più utile suggerimento è quello di leggere, prestando attenzione a questi piccoli suggerimenti.
Sicuramente ci sono molti altri incipit che vi hanno colpito. Se volete segnalarlo, scriveteci!
Alla prossima e, questa volta ancor di più, mi raccomando: leggete, leggete, leggete!
Annalisa De Stefano