Siamo giunti quasi al termine del nostro viaggio e in questo ulteriore articolo di carattere biografico (a cui seguirà un’ultima recensione) più che concentrarmi sulla serie di vicissitudini che seguirono gli eventi narrati due appuntamenti fa (mi riferisco al divorzio da Nancy e il periodo più cupo della sua tossicodipendenza), preferisco soffermarmi solamente su di un episodio, avvenuto in un paio di mesi. Due mesi, tuttavia, la cui rilevanza segnò l’ultimo decennio della vita di Dick.
Sto parlando del 2-3-74. A prima vista parrebbe un codice, un qualche segno criptico, ma si tratta solamente di una data: il periodo compreso tra il febbraio e marzo del 1974 . Quei mesi segnarono una svolta decisiva nella vita di Dick, sia dal punto di vista personale, che da quello professionale. La produzione letteraria e filosofica (che, in tal caso, sebbene sappiamo andare di pari passo, è giusto distinguere dalla prima) subirono un mutamento radicale. Ebbene, che cosa accadde in quel 2-3-74?
Philip era nuovamente preda delle solite paure e psicosi, ma nel febbraio del ‘74 un dolore assai più comune lo colpì: gli fu estratto un dente del giudizio. Durante l’intervento gli somministrarono del Pentothal, un barbiturico comunemente usato nelle anestesie, i cui effetti, a quanto pare, durarono più del previsto. Una volta tornato nella casa che condivideva con Tessa (la sua quinta moglie), suonarono alla porta. Questo il resoconto scritto dallo stesso Dick in una lettera all’amica e scrittrice Ursula K. Le Guin:
Suonarono alla porta, e mi trovai davanti quella ragazza coi capelli nerissimi e grandi occhi, molto buoni e intensi; mi fermai lì a fissarla, stupefatto, anche confuso, pensando di non aver mai visto una ragazza più bella, e perché se ne stava lì? Mi passò la confezione di medicine [Darvon], mentre stavo cercando di pensare cosa dirle; notai, a quel punto, che aveva al collo una bellissima collanina, e le dissi: “Che cos’è? È davvero bella”. Tanto, capisci, per dirle qualcosa, trattenerla ancora lì. La ragazza mi indicò la figura più grande in essa contenuta, un pesce. “È un segno che usavano i primi cristiani” mi disse, e poi se ne andò.
Un evento alquanto ordinario, nevvero? Eppure la sola vista di quel ciondolo scatenò una reazione completamente inattesa: delle visioni. Urge, tuttavia, una precisazione: abbiamo spesso discusso della propensione di Dick verso il misticismo, le visioni e talvolta ci è capitato di ricondurre queste sue tendenze a possibili traumi psicologici o probabili psicosi. In merito a ciò, desidero puntualizzare questo fatto: Dick non soffriva di nessuna malattia mentale. Era certamente nevrotico ed instabile, ma nessuno dei vari psicologi e psichiatri dai quali si recò in terapia parlò mai di pazzia. Dick non era un folle ed era ben consapevole della possibilità che le sue visioni potessero essere solamente allucinazioni indotte dalle droghe o chissà quali altre cause. Per questo motivo, data soprattutto la grande quantità di visioni che ebbe in un così breve periodo, Dick decise di approcciare la questione con occhio clinico ed un costante dubbio metodologico, scrivendo un testo quanto mai articolato, per la varietà di argomenti affrontati, e complesso, per la consistenza (più di mille pagine fitte scritte a mano): L’Esegesi (The Exegesis).
Il titolo di questo massiccio manoscritto si riferisce all’interpretazione del testo biblico. Ne L’Esegesi è racchiusa la visione dickiana della religione, un misto di gnosticismo, zoroastrismo, filosofia antica e paranoia. In accordo al suo “lucido delirio”, caso strano, la realtà non è quella che appare. Il mondo è in bilico fra luce ed ombra, bene e male, e l’oscurità, che nella visione dickiana ha assunto le sembianze dell’impero romano persecutore dei primi cristiani -emblema del bene, in questa interpretazione manichea-, ha fermato il tempo, ingannando tutte le persone e facendo loro credere di vivere in un qualche futuro illusorio. Secondo Dick, il 1974, in realtà, era il 70 d.c. Philip giunse a queste conclusioni, avvalendosi di una fonte quantomai singolare: un misterioso raggio rosa, che lo avrebbe investito in quel celebre 2-3-74, trasmettendogli delle informazioni. Secondo lui, quel misterioso raggio di informazioni era Dio, chiamato anche Zebra o Uno in Valis (1981), il primo romanzo di una trilogia con la quale tentò di trasformare gli studi condotti ne L’Esegesi in opere di narrativa. Valis fu seguito da Divina Invasione (The Divine Invasion – 1981) e La trasmigrazione di Timothy Archer (The Transmigration ot Timothy Archer – 1982).
In Valis, l’ultimo romanzo che andremo a rencensire nel prossimo articolo e il cui titolo in realtà è un acronimo che sta per Vast Active Living Intelligence System, Dick affronta in maniera romanzata gli episodi del 2-3-74, proponendoci, per buona metà dell’opera, un romanzo apparentemente “realistico”, a cui fa seguire una seconda metà “fantascientifica” ma che, per gli stessi motivi già addotti nella recensione di Un oscuro scrutare, preferirei definire “postmoderna”. A rendere interessante quest’opera non è tanto il tema che, a tratti, può apparire veramente delirante, ma il modo in cui esso è veicolato, oltre al modo ancora più profondo in cui si lega all’elemento biografico. Si può dire, a tutti gli effetti, che questo è il romanzo più scopertamente biografico della produzione dickiana, tanto che lo stesso Philip non solo appare tra i personaggi dell’opera, ma ne è pure il protagonista.
Valis rappresenta grossomodo una parte degli ultimi anni della vita di Dick, spezzatasi a causa di un infarto avvenuto, ironia della sorte, proprio nel periodo di maggiore fama e benessere economico, dovuto in gran parte alla cessione dei diritti delle sue opere e in particolare di Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, che, proprio in quel periodo, fu riadattato per la sceneggiatura di Blade Runner, il quale, purtroppo, Philip non ebbe mai modo di vedere. Affannatosi una vita intera alla ricerca di fama e successo, proprio quando stava cominciando a godere i meritati frutti delle proprie fatiche, un infarto cardiaco lo colse nel 1982, a Santa Ana. Fu sepolto nella tomba scelta da suo padre Edgar, a Fort Morgan, accanto alla mai conosciuta eppure tanto amata sorella Jane.
Stefano Corradi