Cari scrittori, ben tornati!
In questo ultimo articolo dell’anno (ebbene sì, ma “Saranno Scrittori” ritornerà puntuale con l’anno nuovo) mi sono ripromessa di fare un po’ il punto della situazione. Così come si fa a Capodanno, quando inizia il conto alla rovescia, subito prima prima di buttare la lavatrice dalla finestra (ma spero di no!).
Anche noi, dunque, già contagiati dalla malinconia prenatalizia, oggi ci guarderemo indietro, riprendendo alcuni dei temi che abbiamo trattato quest’anno.
Lo so, lo so. State pensando “non hai avuto voglia di preparare l’articolo e ci propini un bel collage di quelli vecchi”.
Errore!
Perché come accade ad ogni Natale che si rispetti, io ho invitato ospiti. E invece di mia zia Maria (classe 1922, non so se rendo), vi propongo l’interessante punto di vista di una insegnante ed editor professionista.
Ho infatti chiesto a Susanna Rienzi, che è – con Daniela Tozzi, socia fondatrice di Evart – Arte ed Eventi, l’associazione culturale con sede a Roma che, nell’ambito del progetto NoNamesLab (www.nonameslab.it), si occupa di scrittura, editing e pubblicazione di romanzi, di dirmi la sua su alcuni degli aspetti più spinosi dello scrivere. Ve la ricordate? Abbiamo parlato di questa associazione e del relativo progetto di scrittura collettiva nell’articolo dedicato ai corsi di scrittura creativa.
Ne è nata una chiacchierata molto interessante e utile, non priva di riferimenti letterari meravigliosi, che voglio condividere con voi.
Perciò, se non siete già ubriachi o impegnati nell’ennesima interminabile tombolata (il 64 è uscito?), ecco il risultato di un piacevole pomeriggio pieno di libri.
A – Ciao Susanna, grazie di aver accettato di incontrarmi.
S – Grazie a te, mi fa sempre piacere parlare di scrittura e di libri in genere.
A – Nella mia rubrica “Saranno Scrittori” affrontiamo vari temi, legati sia al mondo letterario in genere (concorsi, riviste letterarie, corsi di scrittura) che alla scrittura vera e propria. Uno degli argomenti più spinosi affrontati quest’anno è stato quello dell’incipit. Iniziare a scrivere spesso è molto difficile, c’è come un blocco, direi una difficoltà a calarsi nella storia. Secondo te, che cosa occorre cercare di trasmettere in quelle poche righe iniziali?
Che cos’è, insomma, l’incipit?
S – L’incipit è un saluto al lettore; una presentazione, naturalmente, non un commiato, che è l’excipit. È dire, ecco, questo sono io, questa è la storia che voglio raccontarti e se sei attento ti sei già fatto un’idea di quello che potrai trovare in questo libro e soprattutto di quello che non potrai trovarci mai. È essenziale, come la prima impressione, come un colpo di fulmine, e il resto del romanzo non deve tradire quell’inizio. Un inizio che dovrebbe essere farfalle o pugni nello stomaco, altrimenti si rischia di perderlo, il lettore, dopo poche pagine.
A – Posso chiederti un esempio letterario? Un incipit che per te è perfetto?
S – Ce ne sono molti. L’incipit de Il giovane Holden di J.D. Salinger è famosissimo, così come quello de Lo straniero di Albert Camus.
Susanna ha proprio ragione. Vi ho già proposto Il giovane Holden, nell’articolo dedicato agli incipit. Di seguito, le prime righe de Lo straniero di A. Camus.
“Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti.” Questo non dice nulla: è stato forse ieri. L’ospizio dei vecchi è a Marengo, a ottanta chilometri da Algeri. Prenderò l’autobus delle due e arriverò ancora nel pomeriggio. Così potrò vegliarla e essere di ritorno domani sera. Ho chiesto due giorni di libertà al principale e con una scusa simile non poteva dirmi di no. Ma non aveva l’aria contenta. Gli ho persino detto: “Non è colpa mia.” Lui non mi ha risposto. Allora ho pensato che non avrei dovuto dirglielo”.
A – Nei prossimi articoli vorrei affrontare il tema della costruzione dei personaggi. Spesso, alla fine di un libro, è un particolare protagonista a restare impresso, più della storia stessa. Quando insegni, cosa dici ai tuoi studenti? Ci puoi dare qualche consiglio?
S – Un personaggio va trattato come un essere vivente, anche perché lo diventa nel momento stesso in cui lo creiamo. Va descritto anche se non esiste, perché comincia a esistere con la sua descrizione. Di lui dobbiamo sapere tutto, anche se non tutto quello che sappiamo sarà poi inserito nella nostra storia. E, una volta che lo abbiamo costruito, dobbiamo rispettarlo. Non possiamo più farlo agire in base alle nostre esigenze, non può più essere una proiezione del nostro ego, dobbiamo tener conto delle sue esigenze. Dobbiamo ascoltarlo, fargli delle domande e aspettare le sue risposte. Costruire un personaggio significa prima di tutto essere in relazione con se stessi e con gli altri, essere attenti, interrogarsi, interrogare, e restare in ascolto. La risposta arriverà.
A – Dunque è un processo complesso, di ricerca, oltre che creativo. Quale è per te il personaggio per eccellenza? Quello che è stato costruito meglio? Il più “vivo”, direi, a questo punto.
S – Non c’è un solo personaggio che considero costruito meglio. Sono tanti, troppi. Tutti i personaggi di Il Maestro e Margherita (di Michail A.Bulgakov), Holden Caulfield (Il giovane Holden), Emma Bovary (Madame Bovary di Gustave Flaubert), Aleksej Karamazov (I fratelli Karamazov), Stephen Dedalus (Ulisse di James Joyce), il Capitano Achab (Moby Dick di Herman Melville), Marie Arnoux, (L’educazione sentimentale di Gustave Flaubert), Julien Sorel (Il rosso e il nero di Stendhal), i ragazzini di It (Stephen King). Sono troppi, davvero.
A – È vero. C’è un ultimo argomento che vorrei trattare con te. Spesso si confonde l’idea da cui trae origine la storia con il messaggio che l’autore vuole trasmettere. Mi piace pensarli come due aspetti intimamente connessi, ma comunque distinti. Sei d’accordo?
S – Direi che – paradossalmente forse – il messaggio dovrebbe precedere l’idea. Senza messaggio possiamo avere un’idea anche grandiosa, ma poi sarà difficile svilupparla come si deve. Il messaggio, secondo me, è la risposta a semplici domande: cosa voglio dire al mondo? Di che cosa mi importa veramente? Perché voglio scrivere la storia A e non la storia B (almeno, al momento)? Il messaggio è un’urgenza. Che a volte neanche sappiamo di avere. Allora arriva l’idea, a suggerirci cosa fare. Basta pensare alla Metamorfosi di Kafka. Un’idea pazzesca, quella di un uomo che un giorno si sveglia nella sua stanza e si ritrova tramutato in un insetto orrendo. Ma il messaggio precede quell’idea. La tristezza di un’esistenza vissuta in un mondo inverso, che non accoglie, pietrificata da un padre che non nutre; il senso del dovere di un uomo che è costretto ogni istante a pagarsi l’ospitalità (si fa per dire) del mondo e poi un giorno si “vede” come lo vedono gli altri. Qui, in ogni caso, direi che idea e messaggio coincidono, in un tripudio di sofferenza.
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Salutata e ringraziata Susanna, sono andata a riprendere “la Metamorfosi” di Kafka. Che libro pazzesco è quello! Lo conoscete? Narra di Gregor Samsa che una mattina si sveglia e non è più umano: si è trasformato in un insetto.
Il romanzo, portatore di un messaggio potentissimo, è anche un altro esempio di come l’incipit sia in grado di dare una direzione immediata alla storia, catturando da subito l’attenzione del lettore.
Vi consiglio di (ri) leggerlo. Nel frattempo, eccone un assaggio:
“Gregor Samsa, destandosi un mattino da sogni agitati, si trovò trasformato nel suo letto in un enorme insetto immondo. Riposava sulla schiena, dura come una corazza, e sollevando un poco il capo scorse il suo ventre arcuato, bruno e diviso in tanti segmenti ricurvi, in cima a cui la coperta del letto, ormai prossima a scivolar giù tutta, si manteneva a fatica. Le gambe, numerose e sottili da far pietà rispetto alla sua normale corporatura, tremolavano senza tregua in un confuso luccichio dinnanzi ai suoi occhi.
Che cosa mi è capitato? pensò. Non era un sogno. La sua camera, una stanzetta di giuste proporzioni, soltanto po’ piccola, se ne stava tranquilla, fra le quattro ben note pareti. Sulla tavola un campionario disfatto di tessuti – Samsa era commesso viaggiatore – e sopra, appeso alla parete, un ritratto, ritagliato da lui – non era molto – da una rivista illustrata e messo dentro una bella cornice dorata: raffigurava una donna seduta, ma ben dritta sul busto, con un cappello e un boa di pelliccia; essa levava incontro a chi guardava un pesante manicotto, in cui scompariva tutto l’avambraccio.
Lo sguardo di Gregor si rivolse allora verso la finestra, e il cielo fosco (si sentivano le gocce di pioggia battere sullo zinco della finestra) lo immalinconì completamente. Che accadrebbe se io dormissi ancora un poco e dimenticassi ogni pazzia? Pensò; ma ciò era assolutamente impossibile, perché Gregor era abituato a dormire sulla destra, ma non poteva, nelle attuali condizioni, mettersi in quella posizione. Per quanto si gettasse con tutta la sua forza da quella parte, tornava sempre oscillando sul dorso: provò per cento volte, chiuse gli occhi per non vedere le sue zampinette dimenanti, e rinunciò solo quando cominciò a sentire al fianco un dolore sottile e sordo, ancora non mai provato.”
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Non mi resta che salutarvi e darvi appuntamento nel 2018. Vi auguro di traghettare sereni nelle festività natalizie, notoriamente “a rischio corda”, consigliandovi di mantenere costante l’equilibrio fra ebbrezza e sobrietà, viatico per tutte le zie Marie e le tombolate di Italia. D’altra parte Bukowski diceva di aver scritto le sue migliori cose da ubriaco (“Quando sono ubriaco la mia ispirazione è al massimo, questo significa essere un gran figlio di puttana” cit.). Chissà che Babbo Natale non vi porti un capolavoro!
Per parte mia mi preparo a ricevere l’ennesimo tanga rosso, nella speranza che arrivi insieme a qualche buon libro.
Buone feste a tutti! E mi raccomando, leggete, leggete, leggete!
Annalisa De Stefano