“Chi sei quando nessuno ti guarda?”
Questa è la frase che campeggia in copertina del romanzo, pubblicato di recente da Bompiani.
“Un thriller dal passato perfetto”.
Così lo definisce Paula Hawkins, autrice che l’anno scorso ha stupito il mondo della narrativa con il suo romanzo d’esordio “La ragazza del treno”. E del romanzo della Hawkins questo thriller, anomalo e bellissimo, ha l’impostazione “a più voci”.
Siamo a Broomsville, una cittadina degli Stati Uniti come ce ne sono tante. Qui le vite degli abitanti scorrono nella più perfetta normalità (o quasi), fino a quando non succede qualcosa che, come si suol dire, spariglia le carte: nel parco giochi cittadino viene ritrovato il cadavere di Lucinda Hayes, una ragazza di quindici anni.
Subito iniziano le indagini e si susseguono svariate ipotesi sul possibile colpevole di quell’atto tragico e violento. I più plausibili sembrano, a tutta prima, l’ex ragazzo della vittima, Zap Arnaud, e Cameron Whitley, un ragazzo strano, amico di Lucinda, con un grande talento per la pittura e l’abitudine a passare le proprie serate a giocare a far la statua. Il gioco consiste nel piazzarsi in un punto del giardino di una persona o comunque nelle vicinanze della persona osservata (o spiata, se preferite) e, appunto, spiarla cercando di non essere visto. A questi primi due sospetti va aggiunto Ivan, fratello della moglie di Russ, al secolo Russel Fletcher.
Quest’ultimo è uno dei poliziotti incaricati delle indagini sull’assassinio di Lucinda. In passato è stato collega e amico del padre di Cameron, Lee Whitley, prima che questi, in seguito a eventi burrascosi, sparisse dalla città lasciando dietro di sé molti dubbi non chiariti nonché un vuoto nella vita del figlio.
Un’altra figura piuttosto complessa e papabile come colpevole è Jade Dixton-Burns. Compagna di scuola e amica della vittima, vive con la madre una situazione che definire complicata e conflittuale è ancora poco. Uno dei suoi pochi amici è un senzatetto che vive nei pressi dell’albergo gestito dalla zia, dove Jade lavora come inserviente tuttofare e al quale porta da mangiare.
La vicenda si snoda in maniera pressoché perfetta ma, alla fin fine, ciò che importa non è tanto il fatto di scoprire chi sia l’assassino della giovane Lucinda Hayes e quale ne sia stato il movente. Ad avvincere il lettore è, o almeno per me è stato così, il fatto di voler scoprire qualcosa di più sui personaggi che, di volta in volta, entrano in gioco. È per questo che l’ho definito anomalo. Il fatto delittuoso è, a mio avviso, solo il pretesto per addentrarsi nell’analisi delle vite dei protagonisti svelandone i più reconditi segreti. Tanto è vero che, sì, il colpevole viene scoperto e pure con un discreto anticipo rispetto alla fine del romanzo ma, una volta che il nome viene svelato, di lui più niente si sa.
Questo thriller mi ha davvero conquistato, non solo per via della vicenda ma anche e soprattutto perché è ben scritto e perché dà vita a personaggi che escono dalla pagina tanto sono veri. Scritto con uno stile avvincente e scorrevole riesce ad incollare il lettore alle sue pagine. Persino quelle che, magari, a prima vista, possono sembrare divagazioni superflue si rivelano, invece, perfettamente in linea con quella che è la storia in quanto servono ad aggiungere ulteriori tessere al puzzle, dando poi, alla fine, un quadro più completo possibile delle vite, passate, presenti e future dei personaggi.
Un esordio eccezionale per questo nuovo nome che si affaccia alla ribalta della narrativa gialla, o meglio nera.
Grazie a tutti per l’attenzione e arrivederci alla prossima recensione.
Riccardo Mainetti