Bernard Malamud, americano, ebreo, vincitore di un Pulitzer e di due National Book Award è considerato uno dei maggiori autori del secondo dopoguerra. Famoso sia per i suoi romanzi che per i suoi racconti, Minimum Fax ne ha pubblicato in Italia l’opera omnia.
Anche lui, durante la sua carriera, si è trovato a parlare più volte della scrittura. Ha condotto corsi, sebbene avesse qualche paura relativa alla possibilità di appiattimento degli stili, e ha rilasciato interviste e scritto articoli che parlano, appunto, di come si scrive un libro. A differenza dei due colleghi di cui abbiamo già parlato, Cortàzar e Smith, Malamud non ha mai scritto un manuale di scrittura o qualcosa di simile, c’è però chi ha ben pensato di unire alcuni tra i suoi interventi più significativi in un unico volumetto che noi troviamo targato, appunto, Minimum Fax e che si intitola Per me non esiste altro.
Il risultato è una specie di raccolta di citazioni e frammenti, di aforismi quasi, quindi non un testo discorsivo. Una forma, questa, che ammetto non mi ha convinto del tutto, perché in alcuni punti avrei sentito il bisogno di approfondire ulteriormente; ma ha saputo regalare alcune intuizioni interessanti e, mi rendo conto, potrebbe funzionare come un piccolo bignami, un breve pronto soccorso per quell’autore che, in difficoltà, vuole avere una rapida risposta da un grande autore.
Tutto questo materiale è infatti di facile consultazione. È diviso in sezioni che vanno dall’idea di vocazione, all’elogio dell’immaginazione, alla moralità della scrittura, fino allo scrivere della propria vita e scrivere l’ebraismo. Ogni sezione, poi, raggruppa più interventi brevi.
Difficile fare un sunto di quanto viene espresso in questi “pensieri”. Ci sono però alcuni spunti che trovo particolarmente significativi e adatti a ogni tipo di narrazione.
Il primo riguarda la disciplina.
Spesso un autore alle prime armi confida eccessivamente nelle Muse. Malamud è chiaro, invece: le idee che possono arrivare, specialmente all’inizio, possono anche essere banali, ma va bene così. Perché non basta l’idea. Serve della disciplina per completare le storie che si iniziano. E con la disciplina ci si può concedere di soffermarsi anche sulle idee banali, perché uno dei segnali circa la professionalità dello scrittore è il non abbandonare mai una storia finché è possibile migliorarla.
Non continuate, dunque, a passare da un’idea all’altra ma prendetene una e miglioratela il più possibile.
Sempre a proposito degli autori esordienti, Malamud suggerisce di provare molte cose diverse. Lui si chiede dove si possa trovare il materiale capace di portare uno scrittore verso una scrittura più proficua. Ma la verità è che per ogni persona la risposta potrebbe essere diversa. Ecco allora che diventa indispensabile, per trovare il proprio metodo e la propria voce, provare molte cose per capire quali sono le proprie capacità e quali i propri limiti. Perché il talento non è mai uguale per tutti. C’è chi è più bravo a creare personaggi, chi sa trasmettere meglio le emozioni, chi scrive in maniera più raffinata… ma se non si provano varie strade, come si fa a capire qual è quella giusta per noi?
Anche con i propri personaggi, per esempio, il suggerimento di Malamud è quello di provare a cambiarli, a combinarli in maniera differente per capire in quale situazione la forza drammatica è maggiore. Non siate rigidi, quindi. Non siate statici. Sperimentate!
Avere talento – cioè avere il dono – vuol dire che ci sono cose che uno può fare meglio di altre; e cose che per quanto si provi non riescono mai.*
Infine, un punto che Malamud ribadisce spesso nel testo è il contatto con la realtà.
Malamud non disdegna gli elementi fantastici nei testi, ma ricorda che la maggiore fonte di idee per la narrativa è l’esperienza individuale, la nostra vita. Anzi! Lo scrittore deve capire chi è, come suggeriva pure Zadie Smith, e per farlo deve riflettere sulla propria vita e su quella degli altri, deve “rendersi conto che è molto di più di un essere passivo”. Perché uno dei compiti più importanti dello scrittore è quello di dare vita a dei personaggi credibili. Ma se non ci conosciamo, se non conosciamo chi ci sta attorno, com’è possibile? Anche perché, alla fine, lo scopo della letteratura è sempre lo stesso: spiegare in cosa consiste la nostra umanità. O almeno tentare di farlo.
Coloro che hanno il dono passano metà della loro vita a capire se ce l’hanno, e un’altra metà della vita a decidere come lo useranno, e la restante metà della vita a usarlo. (Lo so, sono tre metà.)*
Andrea Storti
*Tutte le citazioni sono tratte da Per me non esiste altro, di Berbard Malamud, traduzione di G. Silvano, Minimum Fax