Da qualche tempo sta girando in rete una bellissima lettera aperta, scritta da un giovane libraio, alla fine di un’esperienza di lavoro nella piccola libreria di Eboli, dove ha lavorato per alcuni anni. Si può leggere al seguente link:
https://www.facebook.com/GiuseppeAvigliano2/posts/1771811179704829
Giuseppe Avigliano, così si chiama questo romantico libraio, ha una idea tutta sua della lettura e della capacità di aggregazione dei libri.
Non ho resistito e ho voluto conoscerlo meglio.
A.D. Giuseppe, allora, benvenuto su RIVISTA FRALERIGHE. La prima cosa che desidero chiederti è di raccontarmi come è nata la bella lettera che abbiamo visto circolare sui social. Ti aspettavi tanta attenzione?
G.A. Da pochi giorni avevo smesso di lavorare in libreria. Avevo la necessità di salutare tutte le persone che non avrei incontrato, in particolar modo quelle più timide, con le quali non avevo mai instaurato vere e proprie conversazioni. Un pomeriggio scrissi il post, lasciandomi andare a tutti i ricordi più belli. L’ho scritto come un flusso di coscienza, tentando di dargli un ordine a mò di elenco. E pubblicai il post.
Fin da subito ho ricevuto chiamate e messaggi di affetto. Pensavo che sarebbe finita lì, ma il post ha continuato a camminare in rete. Dapprima è stato ripreso dal sito de “Il Libraio”, dopo di ché ha avuto numerosissime condivisioni. Su Twitter è stato lanciato un hastag ripreso dalle parole della mia lettera #pontiostinati. Poi, una domenica, mi sono ritrovato su Repubblica in un articolo di Loredana Lipperini.
A.D. Evidentemente l’amore per i libri è un sentimento condiviso da tanti, anche se con motivazioni diverse. Mi piace dire che non esiste un modo giusto di leggere, ognuno legge a modo suo e con un’intenzione che è personalissima. Sei d’accordo?
G.A. Assolutamente d’accordo. Lavorare in libreria è anche un modo per osservare le infinite strade della lettura e i percorsi che i lettori seguono per arrivare a un determinato libro.
A.D. Dimmi di te. Che rapporto hai con i libri? Eri un lettore anche prima di iniziare a lavorare in libreria, o è un amore che è nato da quell’esperienza?
G.A. Ho cominciato ad appassionarmi alla lettura nei primi anni del liceo. Conservavo un ottimo ricordo dell’unico libro che avevo letto con piacere durante l’infanzia, da solo, “Il giro del mondo in ottanta giorni” di Jules Verne. Al liceo ho cominciato da Pavese, che mi sembrava il giusto compromesso tra una narrativa impegnata ed una bella lettura. Da lì la scelta di studiare lettere, di lavorare per piccoli editori e in una libreria intensificando sempre di più la mia attività di lettore. Quella più silenziosa e al tempo stesso la più piacevole.
A.D. Dal tuo post emerge molto chiaramente l’importanza che un centro culturale, quale è stata la libreria in cui hai lavorato, può rappresentare per un piccolo centro. Che idea ti sei fatto? Cosa cerca la gente oggi da posti come quelli?
G.A. Le persone hanno bisogno di punti di riferimento, soprattutto nel settore culturale. Qualcuno potrebbe pensare che una formazione culturale è un processo legato alla solitudine. In parte è vero, ma non è possibile negare la componente “aggregativa” di tale processo. Avere un posto dove poter conversare di libri, che sia sempre aperto e accogliente, in cui è possibile trovare persone con le stesse passioni: questo è di fondamentale importanza ed è uno stimolo grandissimo per la crescita umana e culturale di ciascuna persona singola e di una comunità.
A.D. Hai descritto l’amore per i libri come un ponte, capace di creare incontri tra persone anche tanto diverse tra loro. C’è un incontro in particolare di cui ci puoi raccontare?
G.A. L’incontro più bello è stato con il professore in pensione che viveva nello stesso palazzo della libreria. Mi raccontava di quando era bambino, la guerra era appena finita e lui scriveva su un muro “W la Republica”. Con una B, perché non aveva potuto studiare. Poi ha studiato, è diventato professore, e tutt’oggi, nonostante i problemi alla vista, legge il giornale tutte le mattine e ha sempre qualche libro fra le mani.
A.D. Fra le molte iniziative culturali cui hai partecipato durante questi quattro anni, hai accennato all’incontro con il Candidato al Nobel, Magradze; cosa ti ha colpito di più di quell’incontro?
G.A. È stato il primo evento che organizzai in libreria. Lui si trovava nella mia città per ritirare un premio. Ricordo che andai a prenderlo io stesso alla cerimonia di premiazione (la presentazione in libreria era subito dopo) Arrivammo con un grande ritardo in libreria, ma la sorpresa più grande fu trovare tantissime persone ad aspettarci. Da lì è nato il più bel dialogo fra me e i lettori della libreria.
A.D. Se avessi potuto rivolgere a Magradze una domanda, cosa avresti voluto chiedergli?
G.A. Mi incuriosisce, Con Magradze come con altri grandi scrittori, conoscere le loro letture. Ecco gli avrei chiesto questo.
A.D. Mi ha molto colpito il fatto che, nonostante il riscontro positivo delle iniziative della libreria, quando la gestione è cambiata, non si sia voluto proseguire su quella linea. Secondo te oggi,nel contesto attuale dei grandi franchising che operano nel settore, c’è davvero la possibilità di preservare attività come quella che hai descritto senza andare in perdita?
G.A. La qualità della programmazione culturale non sempre riesce ad incontrare il favore delle logiche di mercato – soprattutto per quanto riguarda i franchising. Tuttavia c’è una tendenza positiva che emerge negli ultimi anni ed è l’incremento delle piccole librerie indipendenti.
A.D. Qual è il libro di cui hai consigliato più spesso la lettura ai clienti della libreria e perché?
G.A. “Il paradiso è altrove” di Vargas Llosa. Quando finii di leggerlo a Genova c’era una mostra di Gaugin (protagonista del romanzo insieme a Flora Tristan). Feci 800 km all’andata e altrettanti al ritorno in un solo giorno solo per poter visitare quella mostra. Lo consiglio innanzitutto per la scrittura, che in quel libro raggiunge picchi altissimi per intensità e poesia.
A.D. Se potessi riassumere l’esperienza che hai vissuto con un libro, quale sarebbe?
G.A. Proust scriveva che la più avventurosa delle vite è quella intellettuale. Lavorando in libreria, ho imparato a saltare da una storia all’altra, tra lettori e protagonisti, realtà e finizione. Quindi non posso che riconoscermi ne “Il vagabondo delle stelle” di Jack London.
AD. Va bene, Giuseppe, intanto grazie. Ma prima di chiudere, consigliami un libro.
G.A. “Le affinità elettive” di Goethe. Il libro che mi ha insegnato di più. Una piccola opera-mondo, un breviario indispensabile.
Annalisa De Stefano
Giuseppe Avigliano
L’ha ribloggato su creativitàpuntozero.
L’ha ribloggato su LE PAROLE PER DIRLOe ha commentato:
Invece di riposarmi un po’, ho iniziato a girovagare in rete, di blog in blog, imbattendomi in questa bella intervista al giovane libraio Giuseppe Avigliano, raccolta da Annalisa De Stefano. Non ho resistito a condividerla con chi passerà di qui…
L’ho ribloggato su LE PAROLE PER DIRLO http://maricri48.wordpress.com