Azzardando una teoria molto spiccia, potremmo dire che un film funziona se i motivi per andare a vederlo superano quelli per restare a casa. È una teoria banale ma non è questo l’importante. Mi serve solo per dire che se volete un film per passare due ore e mezza, Silence non fa per voi. Se volete il solito Scorsese, Silence non fa per voi. Se volete un film consolatorio, Silence non fa per voi. Se volete un film dove il bene trionfa, Silence non fa per voi. Se odiate i film violenti, o i film lenti, o i film angoscianti, Silence non fa per voi. Se volete un’apologia sfegatata della fede cristiana o dei gesuiti, Silence non fa per voi.
Dunque, seguendo la teoria spiccia di cui sopra, potremmo dire che Silence non funziona.
Eppure a me è piaciuto. Dunque due sono le cose: o non sono un buon teorico oppure nel film c’è una forza difficile da cogliere e da descrivere che riesce ad andare a segno.
Lo so, lo so, dovrei parlare della trama, dei personaggi, di quanto è bravo Scorsese, di quanto scarna se non inesistente sia la colonna sonora. Di quanto sono belli i paesaggi, di quanto è brutta la violenza e bla bla bla. Ma queste sono cose che leggerete su siti più grandi e prestigiosi. Io preferisco parlare delle sensazioni che questo film mi ha procurato, perché è tutto quello che posso offrire e che non troverete altrove.
E allora, perché vale la pena di andare a vedere Silence?
Perché da parte di Dio c’è silenzio.
Eppure c’è qualcosa, in quel silenzio così carico di dolore, abbastanza forte da indurre un regista pluripremiato come Scorsese a perseguire un progetto difficilissimo per anni, nella consapevolezza di andare incontro a forti critiche, anche a priori, e a un probabile suicidio commerciale.
C’è qualcosa in quel silenzio che permette a una fede di vivere per duemila anni.
C’è qualcosa in quel silenzio che spinge uomini a morire pur di non rinnegarlo.
C’è qualcosa in quel silenzio che conferma quanto scritto.
A ben vedere, in quel silenzio carico di dolore e di domande c’è qualcosa che parla.
Per me, è questo il merito del film. Racconta la fede nel suo aspetto più oscuro e difficile. Moltiplica per mille i dubbi, le paure e le angosce e le analizza senza pietà. È un tuffo nel buio. Non è la solita storiella confortante. È l’eco che amplifica a dismisura le domande.
E nel farlo porta a nuove risposte.
Vale la pena di andarlo a vedere, eliminando il presupposto della fede cristiana?
È un po’ come chiedere se vale la pena di guardare i goal di Maradona pur odiando il calcio.
A voi la risposta.
Io ho la mia.
Aniello Troiano