“Il Leopardo”, edito in Italia da Einaudi (758 pagine, 21 €, titolo originale Panserhjerte, ovvero “Cuore corazzato” ), è un romanzo di Jo Nesbø, autore norvegese ormai affermato a livello internazionale come scrittore di “crime novels”, nonché cantante e frontman di una rock band norvegese, i Di Derre. Il libro è a metà strada tra il giallo d’azione e il thriller, imperniato su una suspense costruita ad arte e un mistero davvero impossibile da decifrare prima della rivelazione dell’autore stesso.
La storia si apre con un omicidio molto particolare. In primis perché la vittima non viene uccisa dall’omicida, ma da un suo stesso gesto: tirare una cordicella che le pende dalla bocca. In bocca le era stato messo, dall’omicida, un aggeggio infernale: una sfera di metallo fornita di un meccanismo a scatto che aziona ben ventiquattro punte di metallo lunghe sette centimetri! Ciò causa la morte della vittima, che avendo la bocca ostruita dalla sfera non riesce a sputare il suo stesso sangue, e muore annegata. Una morte orribile, che cela un omicida spietato e rancoroso, una scia di morti atroci e un incidente accaduto in un rifugio situato sulle montagne norvegesi…
Il libro è molto ben scritto, molto lungo (758 pagine, tantissime per un giallo) ma diviso in capitoletti molto brevi e rapidi. Il libro ha un ritmo costante, piuttosto lento, che permette di immergersi a fondo in tutte le scene, di respirare l’aria di Oslo o dei rifugi innevati sui monti norvegesi, che permette di avvertire la puzza della bottiglia di Jim Beam, il whisky preferito da Harry Hole, o di sentire l’odore particolare dell’oppio fumato dallo stesso Hole.
Per capire com’è il ritmo narrativo di questo romanzo davvero ben scritto, immaginate di fare una gita in auto in Norvegia, Congo e Hong Kong (sono questi i luoghi dove si svolge la vicenda) a una velocità costante di 40 km/h: abbastanza veloce per accorgervi di muovervi, abbastanza lento per immergervi in ogni istante.
Harry Hole è un poliziotto in un certo senso standard della crime fiction: è un duro dal carattere impossibile, alcolizzato e incline alle droghe, portato per l’azione e molto deduttivo. Ma se ciò lo rende un po’ scontato e stereotipato, c’è una cosa che lo rende vivo e apprezzabile, tridimensionale davvero: la sofferenza. Harry Hole si ubriaca come gli altri detective da hard boiled, fuma oppio, ha delle relazioni amorose tormentate e una famiglia travagliata, con un padre malato terminale in un letto d’ospedale, ma al contrario degli altri detective in stile osso duro lui ne soffre, e la sofferenza non è mai affettata o coreografica, ma viva e palpabile.
Gli altri personaggi invece hanno fortune alterne: i personaggi dotati di una certa sofferenza interiore sono molto vivi e palpabili, mentre quelli più “sereni” appaiono un po’ bidimensionali, funzionali allo svolgimento della trama (intricatissima!) più che personaggi veri e propri. Ma la profondità di Hole, di Kaja, di Bellman, e di alcuni indiziati fanno perdonare ampiamente questa piccola lacuna. D’altronde non è facile rendere al meglio tutti quei personaggi! E’ giusto che i fondamentali siano molto meglio delineati dei secondari.
Un’altra piccola lacuna oggettiva che ho trovato (e così finisco la brevissima lista delle due lacune del romanzo) è la quantità di pagine. Sono 758 ma volendo si poteva arrivare anche a 600, tagliando tanti piccoli frammenti non indispensabili qua e la. Il ritmo ne sarebbe stato agevolato.
Ho apprezzato abbastanza questo libro, ma preferisco in genere letture più brevi e veloci, quasi “schizzate”. In più per quanto l’intreccio sia perfetto e il libro riesca a intrattenere benissimo, avrei preferito una maggior indagine sociale/umana, che invece resta sullo sfondo del perfetto meccanismo a orologeria che è questo romanzo.
Aniello Troiano
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