“Se quel martedì mattina di marzo non fosse stato piovoso e ventoso, io sarei andato in banca a depositare un paio d’assegni. Austin Byne, telefonando, non mi avrebbe trovato, e probabilmente si sarebbe rivolto a qualcun altro”.
Inizia così Champagne per uno, ventunesimo romanzo di Rex Stout avente per protagonista il corpulento e geniale detective Nero Wolfe. Voce narrante di questo incipit, come di buonissima parte del resto del romanzo, è Archie Goodwin, assistente tuttofare del detective appassionato di orchidee, birra e buona cucina.
Austin Byne, Dinky per gli amici, chiama in ufficio, in un orario nel quale Archie è solo perché il suo “signore e padrone” è nella serra per la seduta mattutina in compagnia delle sue amate orchidee e, con una voce da oltretomba, chiede all’amico di presenziare, in sua vece, all’annuale ricevimento che si terrà di lì a poche ore a casa della zia di Byne: la signora Robilotti, già signora Grantham, vecchia e non certo affettuosa conoscenza della ditta Wolfe-Goodwin. I due detective, infatti, avevano dovuto avervi a che fare per un vecchio caso di furto di gioielli durante il quale erano state dette cose non proprio carine nei riguardi della donna.
Al ricevimento saranno invitate quattro ragazze-madri, ex ospiti di Grantham House, la residenza voluta e finanziata dal defunto Albert Grantham, filantropo e primo marito della signora Robilotti. Tra queste ragazze figura anche Faith Usher, una ragazza che, da sempre, esterna propositi suicidi, noti a chiunque abbia avuto, per un motivo o per l’altro, rapporti con lei. La signorina Usher non si limita a nutrire tali propositi in via, per così dire, ipotetica; porta, infatti, sempre con sé, nella borsetta, una boccetta di cianuro.
Quando al termine della serata Faith Usher muore per aver ingerito una dose di cianuro con lo champagne, tutti i presenti al ricevimento sono pronti e ben lieti di chiudere la faccenda definendola un suicidio. La principale propugnatrice di tale soluzione è, neanche a dirlo, la padrona di casa, la quale, pur deplorando il fatto che quella ragazza abbia scelto proprio casa sua per mettere in atto i propri propositi, pensa che il clamore si attenuerà quanto prima e comunque non sarà certo paragonabile a quello suscitato da un’indagine per omicidio.
Tutti propendono quindi per la tesi del suicidio; tutti tranne Archie Goodwin, il quale, da subito, dichiara che si è trattato di un omicidio.
Tornato a casa la mattina seguente informa della cosa il suo principale il quale, dopo essersi fatto fare un resoconto dettagliato degli avvenimenti e della serata ed essersi accertato del grado di sicurezza del proprio collaboratore, decide di indagare allo scopo di scoprire se, effettivamente, Goodwin abbia visto giusto oppure no.
Wolfe e Goodwin, coadiuvati, come sempre, da Saul Panzer, Orrie Cather e Fred Durkin, si dovranno destreggiare tra una fitta rete di menzogne di comodo, di inganni, arrivando a svelare anche parecchi “altarini” nascosti e oltremodo scomodi. Tanto scomodi per qualcuno che la signora Robilotti arriverà persino a valersi dell’intervento del capo della polizia in persona allo scopo di tentare di ricondurre il testardo Archie Goodwin a più miti consigli, suggerendogli una giustificazione per il proprio “intestardimento” circa la tesi dell’omicidio.
L’assistente di Nero Wolfe però manterrà le proprie posizioni e così si arriverà alla rievocazione degli eventi della fatale serata, messa in scena nella casa di arenaria rossa della Trentacinquesima Strada Ovest, grazie alla quale verrà alla luce un dettaglio che permetterà a Nero Wolfe di venire a capo del mistero; o comunque gli permetterà di offrire all’Ispettore Cramer un quadro generale che necessiterà solo di qualche piccola attività investigativa per poter reggere in tribunale, come si suol dire.
Riccardo Mainetti